Autore: Nina Mimica
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 339
Vivere fa solletico non è un romanzo, è dinamite, è una carica esplosiva che si innesca dalla copertina e scombussola il lettore senza interruzione per 339 pagine, sfruttando l’amalgama perfetta tra struttura, linguaggio e materia narrativa. Nina Mimica trasferisce sulla carta l’esperienza che ha vissuto sulla propria carne di regista esordiente: il sogno di girare il film della vita, con budget da infarto, sette milioni di euro racimolati in cinque mesi, e cast stellare (Jeremy Irons a garantire il capogiro – passando per Harvey Keitel, Gérard Depardieu, Goran Bregovic e Rupert Everett), trasformato di colpo in un incubo popolato da finanziamenti che scompaiono, produttori crudeli, compromessi e approssimazioni nella resa scenica, tagli alla sceneggiatura, sequenze girate e poi mozzate col machete. Al suo posto chiunque sarebbe naufragato in un oceano di autocommiserazione. Invece il nocciolo di realtà della storia viene deformato dalla lisergica e visionaria potenza creativa della Mimica, che, sublimando l’autobiografismo, rimpolpando di continuo, con maestria e colpi di scena, riesce a costruire con le parole un libro «cinematografico» a tutti gli effetti.
La scrittura è la vera grande protagonista del romanzo, per una volta sembra che la letteratura, in termini squisitamente visuali, sia in grado non solo di tenere il passo della cinematografia, ma addirittura di superarla, grazie alle acrobazie e ai ritmi serrati di una lingua che veicola quantità industriali di autoironia, leggerezza, comicità psichedelica e schegge di filosofia immaginifica.
I sogni infranti nella realtà si trasfigurano in un’avventura assolutamente extra-ordinaria in ogni possibile risvolto, tanto da far entrare in gioco persino l’apocalisse: il percorso di un’artista, la regista Lea, alter ego dell’autrice, che per ritrovarsi deve perdersi, si srotola attraverso gli anni e i continenti in un gioco di rimandi e rimbalzi, come in un thriller dai toni fantascientifici. Una odissea post-moderna, col sapore gustoso della sensibilità beat più pungente, un universo narrativo costellato da una corte di personaggi che lasciano il segno, dal buffo marito di Lea, Totto, verace direttore della fotografia, romano a denominazione di origine controllata, a Jesus Pepe, attore spagnolo assertore di oscuri complotti apocalittici e divo del porno, all’ex segretaria Sandra, arrampicatrice sociale armata di borsetta Gucci e specializzata in farraginose macchinazioni, fino al perfido produttore Dark Matter, emblema del male che corrode l’arte e uccide il cinema in nome del lucro più sconsiderato, e al misterioso «fottuto bastardo carismatico», nome in codice Quindici.
Lea lotta con le unghie e con i denti, tra fiumi di alcol, improbabili principi azzurri brasiliani, espressioni colorite, tacchi alti, fantasmagoriche cospirazioni aliene e battute al fulmicotone, prima per concludere a tutti i costi il film che le cambierà la vita e poi per riprendersi proprio quella vita che il film le ha tolto, ma la verità ultima è che vivere fa solletico e quindi tanto vale non commettere il grosso errore di prendersi troppo sul serio. Nina Mimica assume questo principio come regola aurea e traduce la sua sconfitta cinematografica in una vittoria letteraria netta. Il suo libro riesce a comportarsi come e meglio di un film: con tanto di montaggio indiavolato, che garantisce, nonostante i rapidissimi cambi di scena, una coesione strutturale del romanzo credibile e solida, ed «effetti speciali» che non hanno nulla da invidiare alle fatiche letterarie, troppo spesso farcite di autocompiacimento, di autori più blasonati o alle megaproduzioni cinematografiche hollywoodiane. Dissacrante parodia del mondo che rappresenta, la portata innovativa di Vivere fa solletico può essere assimilata alla ventata di novità introdotta sul piccolo schermo, e trasferita poi anche al cinema, dalla serie Boris, impietoso specchio deformante del mondo delle fiction televisive, che finisce per risultare più vero del vero.
Nina Mimica, croata di nascita, prende la lingua italiana e ne fa ciò che vuole, ci gioca come se si trattasse di pezzi di Lego o di creta da modellare, muovendo abilmente i fili della storia: nonostante in questo frenetico moto di rivoluzione sembri dominare spesso il caos e l’accumulo indifferenziato di elementi, alla fine tutte le componenti vanno al loro posto. Forse in alcuni punti il lettore potrà accusare un leggero senso di sazietà, di vertigine, di abbuffata, come se gli precipitasse addosso troppa energia e tutta insieme. Ma suvvia, sono rischi calcolati quando si sale a bordo di una rivoluzione. E se si va troppo veloci, non fa niente, basta una Xamamina.
Elisabetta Pasca