Un titolo alla Philip Roth, Violazione, che allude alla profanazione atavica, primordiale e reiterata della terra, alla modificazione violenta, per mano dell’uomo, del nostro spazio comune; ma fa riferimento anche a una violazione più intima, quella della fiducia, dei rapporti umani.
In uno scenario profondamente modificato (e in continua modificazione) da un punto di vista territoriale (le campagne) ed emotivo, dall’utilitarismo e dalla convenienza, quasi nessuno si salva, tra compromessi e abusi, fino alla violenza finale ai danni di chi a quegli abusi aveva cercato di opporsi.
Il primo romanzo di Alessandra Sarchi ruota intorno a tre nuclei familiari: quello dei Draghi, composto dal capobranco Primo, dalla moglie Genny e dalle figlie Teresa e Vanessa; quello di Natascia, domestica moldava al servizio dei Draghi, e di suo figlio Jon; quello dei Donelli, composto da Alberto, Linda e i due figli, Filippo e Martina. A unirli, una casa in campagna che i Draghi mettono in vendita e i Donelli vogliono comprare.
Linda e Alberto cercano un nuovo spazio dove ricominciare con i figli, sognano la natura, non quella selvaggia di Werner Herzog, ma quella pacifica e rassicurante a sei chilometri dalla città, Bologna: un compromesso che permetta di mantenere i contatti con la civiltà e coltivare quel poco la terra e le proprie ambizioni medio-borghesi. Una casa che si presenta come una brochure tridimensionale del loro sogno: le torrette antiche su un edificio nuovissimo, le pareti tinteggiate di colori tenui, la fattoria con gli animali a pochi passi. Il proprietario, Primo Draghi, un imprenditore-contadino innamorato della natura.
Ma presto i dubbi cominciano a insinuarsi: quella terra porta le cicatrici di anni di abusi edilizi, di frane e smottamenti causati dall’uomo, e Primo Draghi è in realtà uno spietato imprenditore che vuole lasciarsi alle spalle la polvere, i calli, la fatica dei propri avi, perché la terra «è tutta sbagliata», dice. In quello spazio di nessuno, dove lo Stato non arriva più, quando già non è stato adeguatamente messo a tacere dalla corruzione, Primo Draghi può dare forma al suo sogno di edificare, sottrarre spazio alla terra, sottometterla e dominarla. Alberto (che lavora per il dipartimento ambientale del Comune) e Linda non fanno fatica a intuire che qualcosa non quadra, dietro quel fondale teatrale di perfezione e armonia con la natura; ma l’accettazione del sopruso passa attraverso una utilitaristica rinuncia, sospensione dell’autocoscienza. La morale non può nulla contro il compromesso, che abbassa le difese e rende inermi di fronte al male. Chi, come Jon, un immigrato clandestino invisibile per lo Stato, non si farà partecipe della violazione e dell’abuso, sarà schiacciato, anche dal peso solitario di una responsabilità, personale e civile, che nessuno vuole prendersi.
Il personaggio di Primo Draghi incarna quello che è, forse, il vero protagonista del romanzo, il Male, nella sua declinazione ultima, seppur sfumata. Un uomo carismatico che utilizza indifferentemente il potere, attraverso la seduzione e la forza; risoluto nel perseguire i propri disegni. La sua unica etica è il profitto, il suo sguardo e i suoi gesti piegati alla profanazione e al guadagno. La Sarchi ce lo presenta suadente e affascinante come il Mefistofele di René Clair, anche se forse non ha quel fascino magnetico e immediato che l’autrice cerca di disegnare, quello che sì, non ha bisogno di spiegazioni, ma forse meriterebbe una più accurata caratterizzazione.
Primo Draghi non presenta una malvagità innata, ma ha tratti istrionici, affascinanti. Il male non è estremo e radicale, ma alberga anche nella sospensione del pensiero, nell’incapacità di opporvisi criticamente.
La narrazione della Sarchi si muove alla conquista dello spazio e del dubbio, attraverso una costruzione che segue, in maniera impeccabile, la regola «show, don’t tell!», e una lingua che risulta chiara e precisa, venata prima dal senso di riluttanza e poi dalla accondiscendenza dei personaggi davanti al male. La storia intreccia un rapporto perentorio e ultimativo con il tempo; quello che accade è già accaduto e sempre accadrà. Il romanzo dà forma a una civiltà egoista, mossa dagli interessi personali, incapace di opporsi all’ingiustizia, prona al compromesso; che non riesce ad approcciarsi alla natura senza stravolgerla e distruggerla.
«Alberto non pensa solo alla convivenza con gli uomini, ma anche a quella con la terra; c’erano tanti segni che dicevano che s’era persa la misura. L’uomo andava riaddomesticato.»
Lorenzo Gramatica