Autore: Irene Chias
Casa editrice: Elliot
Pagine: 171
Sono ateo e ti amo è il primo romanzo di Irene Chias, giornalista finanziaria nata a Erice e residente a Milano. Il particolare biografico risulta interessante perché questa opera prima non è ciò che ci si aspetterebbe da una professionista di giornalismo finanziario. L’approccio narrativo attinge all’immediatezza e all’asciuttezza del linguaggio giornalistico ma ha poco del piglio gelido e sistematico che un lettore qualsiasi si immagina come il più naturale per chi è abituato per mestiere a sciorinare e riflettere intorno a numeri, indici, flussi, grandi business e dati statistici. Che abbiamo a che fare con qualcosa di diverso lo possiamo capire già dalla frase riportata sul risvolto di copertina: «Vorrei essere amata in maniera terrena, senza retoriche mistiche, senza angelicazioni o dannazioni da rotocalco, senza complessi parafreudiani da reperire e sezionare nell’infanzia mia o sua. Vorrei un amore che mi dicesse: sono ateo e ti amo».
Irene Chias tesse per il lettore un arazzo vivido ed elaborato, fatto di colori forti, che possono ferire gli occhi. Pennellate a volte leggiadre, altre volte meno, delineano, spesso con tocchi surreali e di humor nero, relazioni, interrogativi, sentimenti ed esperienze, traendo linfa narrativa direttamente dal cuore pulsante della quotidianità che appartiene ad una generazione, quella dei trentenni di oggi, stanca di indossare la casacca ormai fuori moda di «eterni e spensierati Peter Pan». La complessità del presente merita di essere tradotta meglio di così: la fuga non è più una soluzione plausibile o quanto meno sufficiente per poter affrontare la realtà, con i suoi drammi e le sue inevitabili fratture. Il movimento richiesto per affrontare l’esistenza è piuttosto un moto ondivago, difficile, fatto di andate e di ritorni, di tentativi, di errori e ripensamenti, un moto che deve fare i conti senza sosta con il magma bollente e fluido del divenire. L’autrice allora dà voce propria alle sue tre protagoniste, vicine e allo stesso tempo lontane, ma sempre unite nella radice dell’appartenenza geografica che nessun trasferimento e nessuna fuga può cancellare. Anche in questo caso l’elemento biografico non è da sottovalutare, perché il minimo comun denominatore tra l’autrice e i suoi personaggi è proprio la terra di Sicilia, che a buon diritto può essere considerata la quarta protagonista del romanzo. I tre racconti che costituiscono il libro, indipendenti l’uno dall’altro ma connessi, rappresentano insomma tre voci che sono in realtà un’unica voce, lo strumento migliore per amplificare efficacemente una complessità emotiva acuta e vibrante.
Tre donne siciliane, Ulna, Adele ed Elena, lasciano la Sicilia in cerca di realizzazione professionale e sentimentale ma alla Sicilia ritornano, anche solo con la mente, in virtù di circostanze che le costringono a ripensarsi e a ripensare il mondo intorno, in un orizzonte post-moderno che si definisce tale proprio accomodandosi imperioso sulle macerie lasciate dallo scontro tra i valori tradizionali e i nuovi modi della globalizzazione. La frammentazione è il risultato inevitabile di questo scontro esplosivo e si riflette a più livelli nelle storie delle protagoniste. Il loro percorso è alla fine un circolo, ma non ha nulla di vizioso: come il movimento di rotazione del globo macina giorni su giorni, intrecciando ad ogni giro nuovi nodi e nuove dinamiche di cambiamento, allo stesso modo le tre voci di Irene Chias non tornano al punto di partenza uguali a come erano partite, ma assumono ulteriori sfumature e accenti, toni e colori che ce le rendono presenti e vive al di là della pagina scritta.
Ulna rientra a Palermo dopo aver «addentato» la Grande Mela ma scopre che in Sicilia è costretta a fare i conti con un precariato diffuso che non riesce a rimanere limitato entro l’ambito lavorativo e sconfina nei territori limitrofi dei rapporti sentimentali e della percezione del sacro.
Adele vive da anni a Lione e a Palermo non riesce a tornarci nemmeno in occasione della morte dell’amata nonna. Ha bisogno di affrontare il lutto a modo suo, per cui decide di allontanarsi ulteriormente, di passare alcuni giorni a San Francisco, in compagnia di un vecchio amico. Ed è lì, da lontano, che potrà riscoprire e rinsaldare il legame con le sue origini e la sua terra.
Infine Elena deve tornare all’isola, al paese, per affrontare la fase terminale della malattia della zia. Naturalmente le circostanze la condurranno a rileggere tutto il proprio passato e i rapporti tra i vari membri della sua famiglia, portando a galla un segreto inaspettato, che potrà aiutarla a trattenere ancora un pezzetto della zia che non c’è più e di conseguenza salvare una parte di sé.
Irene Chias ci regala tre storie di donne diversissime tra loro, unite dal gene della sicilianità, che ognuna sa declinare a suo modo: tre storie che seguono traiettorie mai diritte e comode, ma piuttosto sbilenche e frenetiche. Questo perché palpitano di vita e non hanno nulla a che vedere con l’indice Dow Jones.
Elisabetta Pasca