Autore: Cesarina Vighy
Casa editrice: Fazi
Pagine: 431
Di solito, quando si sta per entrare in casa di una persona, anche se la porta è aperta, è buona educazione quantomeno bussare prima di varcare la soglia. I vampiri non possono assolutamente entrare in casa di un essere umano se non vengono espressamente invitati a farlo. In Giappone l’ospite è tenuto a togliersi le scarpe in un’apposita area dell’ingresso, prima di poter accedere al pavimento interno dell’appartamento.
E si tratta solo di una manciata di esempi. Esiste infatti un preciso ed articolato codice comportamentale, consolidato e ben codificato, che regola l’approccio all’intimità altrui. Come occorre comportarsi però quando l’accesso all’intimità di un altro è sancito da un libro? Questo interrogativo attanaglia inizialmente il lettore che si ritrova tra le mani Scendo. Buon proseguimento, opera seconda di Cesarina Vighy, vincitrice del Premio Campiello 2009 con il romanzo L’ultima estate, data alle stampe appena un mese prima della morte dell’autrice. Ci si ritrova infatti a fare i conti con una sorta di epistolario telematico, una raccolta fittissima di e-mail che l’autrice scrive a familiari ed amici tra il 2007 e il 2010, nel periodo che la vede impegnata ad affrontare, da una parte, la pubblicazione del suo primo libro e, dall’altra, il decorso di una malattia che non lascia scampo, la sclerosi laterale amiotrofica. Se ci insegnano fin da bambini che non bisogna leggere la corrispondenza altrui, è normale addentrarsi con cautela e pudore tra le pagine del libro della Vighy, con quella punta di spaesamento che si può provare quando si viene ammessi senza filtro alcuno al sancta sanctorum dell’universo affettivo ed emozionale di una persona estranea. Ma è solo un attimo, perché la scrittura coinvolgente, densa, arguta e colta di Cesarina Vighy, che non cede mai all’autocommiserazione, spazza via senza indugio ogni imbarazzo e inserisce di colpo il lettore nel tessuto connettivo di una rete di rapporti che proprio la scrittura rinsalda, in una situazione difficile e precaria come quella che deriva da una malattia disabilitante e incurabile.
Se la Sla costringe la Vighy a contrarre la propria esistenza fisica entro le pareti domestiche, in una clausura scelta consapevolmente, la corrispondenza costituisce lo strumento principe per affermare con rinnovata forza la propria esistenza, come madre, moglie, nonna, amica e scrittrice. Non un fenomeno letterario o un caso umano, ma una persona autentica, con i suoi slanci, le sue gioie, le sue idiosincrasie e le sue debolezze. La scrittura consente la sopravvivenza, si rivela, se non propriamente curativa, quanto meno più utile e lenitiva delle parole vuote dei medici. Humor nero, finissime citazioni letterarie, poesie e riflessioni nei confronti dell’attualità politica e letteraria del nostro paese, si alternano ad espressioni familiari, consigli personali e ricordi in un affresco di vita quotidiana talmente riuscito da rendere i protagonisti reali delle vicende dei veri e propri personaggi a cui risulta impossibile non affezionarsi. Il marito burbero ma devotissimo, il nipote musicista, piccolo filosofo di famiglia, la figlia ritrovata, le amiche e gli amici di ieri e di oggi. Il lettore è trascinato in questo straordinario viaggio emozionale, il viaggio di una mente lucida e di uno spirito libero, che non vuole smettere di crescere, sperimentarsi, creare.
L’interlocutrice privilegiata della Vighy è l’amatissima figlia Alice, declinata in salsa diversa di mail in mail (Alice “sempre più in salamoia”, “nei bigoli in salsa”, “in un fiore di zucchina fritto”, “allo champagne”, “in saor”, solo per citarne alcune): nuovamente è la scrittura a fissare la liturgia di un legame recuperato e rinnovato. Alice non è solo figlia di Cesarina, è anche la sua editor e il “periscopio” attraverso cui continuare a guardare ciò che accade fuori. Il racconto è la formula espressiva fondamentale e più appropriata per guardare dentro di sé e fuori di sé e per vivere, è un supporto ferreo all’affermazione della propria identità, a dispetto del crudele gioco spersonalizzante della malattia.
Così scrive Cesarina ad un’amica: «Non mi è mai capitato di definire “sciapa” o “antiletteraria” una vicenda umana che scorre tranquilla e senza avvenimenti apparentemente interessanti. Ogni vita è straordinaria, di questo sono sicura. Il romanzesco non ha niente a che fare col romanzo, dove si cerca di trovare un nucleo, un bandolo, una bussola che serva a tutti».
Ed è indubbio che straordinario, seppur breve, sia il percorso letterario di questa scrittrice.
Elisabetta Pasca