Pozzoromolo

Autore: Luigi Romolo Carrino
Casa editrice: Meridiano Zero
Pagine: 288

Pozzoromolo di Luigi Romolo Carrino, uscito in ottobre dopo il fortunato successo di Acqua Storta, sempre per i tipi di Meridiano Zero, e a tre anni di distanza dalla raccolta di poesie TempoSanto, pur condividendo con il primo romanzo l’ambientazione socio-geografica e la storia di “diversità” dei rispettivi protagonisti, dimostra di avere molti punti di contatto con la silloge lirica. A quest’ultima l’accomunano il percorso di dannazione compiuto dalla lingua e la propensione del linguaggio a materiarsi in poesia.
L.R. Carrino è scrittore avvertito e, per consentire al lettore di sentirsi a suo agio, sembra offrirgli immediatamente il percorso narrativo della lucida follia da cui è assediata Gioia, la protagonista. Nel dipanarsi del racconto il significato si stratifica attraverso tragitti impervi sapientemente costruiti dall’autore, mediante l’uso estremamente consapevole del laboratorio retorico, il ricorso a felici espedienti grammaticali e narrativi volti a rendere ambiguo il discorso e la sua interpretazione, e grazie anche a un’accorta commistione di generi letterari.
Protagonista della narrazione è Gioia, personaggio dalla identità anfibia, una donna con un corpo maschile che, rinchiusa in un OPG a scontare una colpa di cui non possiede memoria, affida alle asettiche pagine di Word il racconto retrospettivo della sua vita, rifranta nello specchio ingannevole di uno scriversi negli intervalli tra un sedativo e l’altro. Il suo racconto si snoda piagato dai graffi della censura e dagli spilli della punizione antica, dagli strappi dello smemoramento e dalle schegge accecanti del ricordo. È la ferita aperta, privata e collettiva, che spurga “le infezioni del mondo” mediante un linguaggio ora fanciullo, ora adulto, ora trasparente, ora opaco e singhiozzato, che si fa escoriazione d’anima, ematoma antico.
La narrazione, tramata di ricatti e di tradimenti, di reati e desideri, di innocenze perse e riconquistate, di abbandoni marchiati a sangue e di presenze non sempre positive, procede inscenando un coro tragico di ombre. Tra esse spiccano le figure genitoriali: una madre il cui amore materno si manifesta paradossalmente solo attraverso punizioni e castighi, donna troppo interessata alla propria persona e ai vari uomini con cui nel corso del tempo tradisce il marito, e un padre la cui assenza ispira il lamento di amore filiale frustrato che impasta d’amaro ogni cosa, ogni momento dell’esistenza, fino a proiettarsi in episodi di violenza sessuale, di cui la protagonista si racconta vittima.
Tessera per tessera, attraverso luminose acrobazie stilistiche, in un linguaggio composito costituito da un periodare irregolare, da echi intertestuali letterari e popolari, Gioia compie la sua discesa nell’Averno e la racconta mediante la frammentazione della narrazione diaristica. Pozzoromolo non si può leggere tutto d’un fiato, in quanto non si tratta solo di seguire lo sviluppo di una storia, bensì di spingersi e sprofondare orficamente negli abissi di un’anima per poter partecipare a un rito iniziatico e purificatore.
Teresa Ferri
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