La vita accanto
Autore: Mariapia Veladiano
Casa editrice: Einaudi Stile Libero
Pagine: 163
La vita accanto è un romanzo sull’imperfezione.
La vita accanto è la storia di Rebecca, una bambina brutta, tanto brutta da generare repulsione negli altri, brutta a tal punto da escludere fin dal principio qualsiasi speranza di vedere l’anatroccolo trasformarsi in cigno.
La bruttezza di Rebecca, però, non è sufficiente a farla considerare una storpia, a regalarle quello status che le consentirebbe di diventare la mascotte dei suoi amichetti di scuola, che renderebbe i suoi genitori dei martiri e farebbe del mondo un luogo di pellegrini pietosi.
La bruttezza sarà considerata da tutti una colpa: da Rebecca, dai suoi genitori, dagli altri genitori della Vicenza bene che cercheranno a più riprese di allontanarla dai loro figli normali.
Gli unici che accetteranno la bambina saranno persone – donne soprattutto – che hanno subito esperienze traumatiche, accorgendosi di quanto imperfetta e lontana dalle proprie aspettative possa rivelarsi la vita.
Ma facciamo un passo indietro.
La trama, a grandi linee, è questa.
Il padre di Rebecca è un ginecologo appartenente a un’importante famiglia di Vicenza, la madre è figlia di contadini, entrambi sono bellissimi.
La nascita della bambina sprofonderà la madre nella depressione, una depressione che presto sfocerà in follia. La donna si rifiuterà di occuparsi della figlia e smetterà quasi di parlare. Un ruolo sempre più importante all’interno della famiglia verrà ricoperto dalla zia Erminia, sorella gemella del padre di Rebecca e pianista, che inizierà la nipote alla musica. Nonostante le insistenze della zia, nei primi anni dell’infanzia, la bambina rimarrà segregata in casa. Qui verrà accudita da Maddalena, un’ex paziente del padre, che ha perso marito e figli in un incidente stradale. Alle scuole elementari Rebecca conoscerà Lucilla, una bambina grassa ma sicura di sé, che insieme alla maestra Albertina sarà per un lungo periodo la sua unica amica. L’indifferenza della madre, l’inettitudine del padre e le cattiverie dei compagni di scuola non riusciranno ad affondare Rebecca, che alla fine troverà la sua dimensione grazie anche al talento per la musica.
Se è vero che la protagonista – una bambina, e poi una donna, irrimediabilmente brutta – è una figura piuttosto originale nella narrativa italiana di questi anni e che la Vicenza del romanzo rappresenta con efficacia un certo modo di pensare, una meschinità e una spietatezza comuni non solo al nostro Paese e non solo ai nostri tempi, ciò che avvicina il lettore e gli permette di immergersi nella storia della Veladiano è altro.
Di sicuro La vita accanto non è e non vuole essere una favola allegorica, ma si stabilisce tra i piani del racconto una corrispondenza, un’eco di significati che si ritrova in tutte le narrazioni coerenti e che a volte siamo in grado di cogliere anche in quel mondo fuori dai libri che una coerenza sembrerebbe non averla.
Così il modo in cui il padre e la madre si rapportano con Rebecca rispecchia quello che è il loro rapporto con l’imperfezione in generale, un’imperfezione intesa come tutto ciò che intacca la proiezione ideale di se stessi. I genitori di Rebecca non sono capaci di reagire alla nascita di questa figlia inaspettatamente brutta, come non sono capaci di reagire alle imperfezioni delle proprie vite. Le nascondono e se ne vergognano come nascondono e si vergognano della figlia. «Pezzetti di cielo mi cascano addosso e mi tagliano tutta» scriverà la madre dal suo esilio volontario. «Io rovino tutto quello che tocco» dirà il padre sottolineando una volta di più la sua resa.
A un certo punto la Veladiano scrive: «Una bambina brutta è figlia del caso, della fatalità, del destino, di uno scherzo della natura. Di certo non è figlia di Dio». Se a «una bambina brutta» sostituiamo «la bruttezza, il male e ogni altra imperfezione» abbiamo la questione teologico-ontologica che pone La vita accanto: nonostante tutta l’imperfezione delle nostre vite siamo disposti a continuare a credere?
Marco Gigliotti