Autore: Giorgio Falco
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 141
Alla periferia di Milano, dalle parti della tangenziale ovest, lungo la Strada Statale 494, c’è Cortesforza. Quello che prima era un piccolo centro rurale, riserva di caccia delle nobili famiglie milanesi, adesso è una zona grigia occupata da schiere di capannoni, centri commerciali, villette a buon mercato che attirano nuovi residenti. È in questo spazio ormai privo di identità che si muovono i protagonisti dei nove racconti di Giorgio Falco. Neo-imprenditori disposti a tutto pur di restare a galla, giovani coppie a cui, per entrare in crisi, basta scoprire che il cavolfiore che si apprestano a mangiare nasconde una larva, mariti che da quarantasei anni danno pugni in testa alla moglie («Non cinquanta generici anni di botte. Non mezzo secolo di schiaffi. Quarantasei anni di pugni in testa. È possibile dubitare di tale precisione?»). A Cortesforza tutti conoscono i vicini, ma è una conoscenza che non va al di là di cenni della mano davanti casa, caffè di cortesia, chiacchiere sul monovolume nove posti appena acquistato. Quella descritta da Giorgio Falco è una normalità scoraggiante, vite che sembrano avere un percorso già segnato, dritto fino alla disfatta (negli affetti come nel lavoro).
La critica più frequente mossa a L’ubicazione del bene è che si tratta di racconti-fotocopia: letto uno puoi fare a meno del resto. Racconti con protagonisti diversi nel nome ma sempre uguali, che fanno le stesse cose nello stesso posto.
In realtà, non è esattamente così.
È vero che siamo di fronte a nove testi accomunati da situazioni simili, temi ricorrenti, e un luogo, Cortesforza, in costante primo piano (cose, tra l’altro, che dovrebbero normalmente caratterizzare una raccolta perché sia «una raccolta» e non un susseguirsi di scritti messi insieme a caso) ma è altrettanto vero che Giorgio Falco supera il rischio di diventare ripetitivo, perché in questo riecheggiare di elementi trova sempre il particolare capace di sorprendere e rendere unico ogni racconto e ogni personaggio. Così, può capitare che, alla fine della solita riunione lavorativa del giovedì sera, quattro colleghi tirino fuori i propri pesci siamesi combattenti, li mettano dentro un acquario e restino a guardare mentre si ammazzano, che un uomo decida di non mangiare cibi solidi perché ha paura che gli vadano di traverso e lo soffochino, che un altro scopra che quelle che da anni crede essere le grida del figlio handicappato del vicino siano invece le grida del pappagallo (sempre del vicino). La presenza di animali viene puntualmente riproposta: pesci, pappagalli, cani, serpenti diventano, per i vari personaggi, ciò su cui sfogare le proprie frustrazioni o con il quale riempire i propri vuoti.
Se in Superwoobinda, attraverso l’accumulo di istantanee – che quasi mai si trasformavano in veri e propri racconti, trovando senso e importanza una volta messi in relazione tra loro – Aldo Nove riusciva a comporre un quadro grottesco e agghiacciante di una fetta dell’Italia anni ’90, con L’ubicazione del bene Giorgio Falco consegna un’immagine altrettanto agghiacciante degli anni attuali, caratterizzati da una precarietà che abbraccia qualsiasi aspetto della vita quotidiana. Lo fa attraverso una scrittura perfettamente aderente alla narrazione, fredda e veloce come la tangenziale che attraversa Cortesforza, costruendo racconti che hanno la loro ragion d’essere anche presi singolarmente ma che letti in successione moltiplicano potenza e incisività.
Francesco Sparacino