Autore: Francesco Formaggi
Casa Editrice: Neri Pozza
Pagine: 237
L’occhio cade sul dettaglio.
Sulla citazione di Gombrowicz, tratta da Pornografia: «E per un attimo noi e loro, dal fondo della nostra catastrofe, ci guardammo negli occhi».
Guardare. È la prima volta per Francesco, protagonista del romanzo d’esordio di Francesco Formaggi. Il ragazzo cede alla ragazza, alla vacanza in campagna nel casale degli zii di lei.
Lei. I parenti di lei. Il casale. Francesco è sicuro, in quel buco non c’è nulla da vedere.
Eppure l’occhio cade sul dettaglio, preso in trappola, e rivela che il dettaglio è sempre «enorme, gonfio, tozzo, quasi brutale». È l’alluce deforme di Giulia, la dolce fidanzata di Francesco. Sono le carcasse degli animali uccisi e mimetici, stesi di fianco a noi sul prato. I biglietti di una cameriera poetessa, e forse prostituta. Il segreto della zia Ester. I segreti dello zio Franco. L’ira incontrollata di Mario – custode, mostro, tuttofare – l’unico a recidere, fin dall’inizio, ogni convenzione di rispettabilità sociale: il dito mozzato a testimoniarne l’assenza.
È una storia questa, che parla del potere dell’anomalia. La deformità morale diventa deformità fisica e si impone nei personaggi di Formaggi con il dettaglio, la stortura di un alluce o lo strabismo di un capo famiglia, un patrimonio di piccoli segni che si tramandano, di generazione in generazione, fino a che l’occhio non vi si posa sopra, e allora non può più ignorarli, al contrario, ne è in qualche modo attratto, e si perde nel labirinto di una sciagura imminente, la sciagura di tutti: da sempre lì sotto i nostri occhi, al riparo delle mura del casale, nella famiglia felice. Una tranquilla settimana di paura.
Tuttavia si sa, il male sta nell’occhio di chi guarda. E forse in questo senso, si può dire che il romanzo cade nella trappola congegnata dalla sua stessa voce. Tra un incipit e un finale ben costruiti, ciò che sta nel mezzo non sempre è necessario alla storia. A volte il perturbante si compiace di se stesso e la scrittura diventa lente di ingrandimento che non ne ha mai abbastanza, e si avvicina, e deforma, e affonda l’occhio nei particolari per il piacere di sezionarli ed esibirli come accade con una collezione di insetti.
Autore, lettori e protagonista: nessuno è immune al fascino di una storia torbida, ma tutti sono convinti di sedere dalla parte del pubblico, dalla parte delle persone informate dei fatti. La verità però è che «nessun male si compie di proposito, finché non ti trovi a farlo». E assistere alla seduzione del male è il primo passo per prenderne parte. Così Francesco precipita dentro Il casale, e noi lettori con lui: fino a sentire la deformità dei nostri alluci, fino a riconoscere le nostre mani macchiate di sangue, fino a scavare la fossa per il funerale di una gallina, e a vederci dentro la fine dell’uomo.
«Non avendo un nome e una lapide su cui inciderlo, sulla terra, con un dito, scrissi: RIPG, riposa in pace gallina, poi cancellai la G, perché quella preghiera valeva per tutti, non solo per la gallina: valeva per il ragazzo e valeva per Clara e valeva per Franco e valeva anche per me».
L’occhio cade sul dettaglio. La crepa sul muro del casale, il buco da cui spiare. Guardarsi, noi e loro. Ma a guardare bene, dal fondo di questa catastrofe: noi è loro, non c’è alcuna differenza.
Chiara Zingariello