Poco oltre la metà di Antropometria, c’è un racconto apertamente autoreferenziale dal titolo Parlami dei finali. Una donna espone al marito le proprie impressioni sulla raccolta che quest’ultimo sta scrivendo: non le piace molto, c’è troppa disperazione, troppo sesso, troppa crudeltà nei confronti dei personaggi, e poi i finali… dovrebbe osare di più nei finali, avere il coraggio di fermarsi prima, invece cade nella tentazione di dare spiegazioni. L’uomo risponde che probabilmente è così, ma per lui è importante che i personaggi vengano infilati in una situazione da cui possono tirare fuori qualcosa che nemmeno sapevano di avere. Non è crudeltà gratuita la sua, e il sesso gli interessa come detonatore di emozioni e conflitti. Dice che sta pensando di non includere alcuni racconti, nell’insieme potrebbero risultare ripetitivi.
Paolo Zardi mostra di avere piena consapevolezza della sua scrittura, sa quali sono le obiezioni che gli si potrebbero avanzare e dà le sue risposte. È vero, alcuni racconti andrebbero chiusi prima o svelando meno (È di nuovo famiglia, Non accade per amore), alcuni sono di troppo: il citato Parlami dei finali, ad esempio, ci avvicina all’autore e ci fa capire meglio il suo punto di vista, ma non se ne sentiva del tutto l’esigenza. Lo stesso vale per circa un terzo dei testi che compongono Antropometria, soprattutto quelli brevissimi, e non perché non siano di buona fattura (lo è davvero Sei minuti, lo è Futuro Anteriore, lo è anche Ai tempi del nulla), semplicemente si ha l’impressione che non siano al posto giusto, che non è lì che debbano stare. Anche di questo Zardi ha valutato e accettato il rischio: non è una raccolta di racconti che vuole scrivere, ma un ‹‹libro di racconti›› (‹‹Che è una cosa ben diversa. Vorrei che fossero capitoli di una storia che non si vede››). C’è da evidenziare come un’impostazione simile si riscontri in I cani là fuori (Gianni Tetti), testo che precede Antropometria tra quelli pubblicati da Neo nella collana ‹‹Iena››. Anche in quel caso c’è il tentativo di legare alcuni racconti tra loro facendoli diventare ognuno parte della stessa storia, anche in quel caso sarebbe stato meglio ridurne il numero, selezionarli meglio, perché se presi singolarmente funzionano, letti uno dopo l’altro rischiano di risultare ripetitivi.
Tornando ad Antropometria, avanzato qualche dubbio strutturale, bisogna precisare subito una cosa: qui dentro ci sono almeno quattro racconti che lasciano a bocca aperta. E non inganni il fatto che di titoli l’indice ne conta sedici, perché da soli, questi quattro, in quanto a pagine riempiono metà libro. Zardi si confronta spesso con situazioni estreme, spunti surreali che è bravo a non fare degenerare nel grottesco, servendosene anzi per descrivere con maggiore forza un’umanità a volte malata, violenta, sempre in bilico, in attesa che si risolva il conflitto interiore tra istinto e razionalità. C’è una lucidità e un’efficacia rara nell’esplorare la psicologia dei personaggi, spingerli a confrontarsi con i loro impulsi più repressi che si rivelano essere gli stessi con i quali chiunque prima o poi finisce per avere a che fare. È anche un’umanità che ama, spera, lotta e cerca disperatamente la redenzione, quella di Antropometria. Parte tutto dalla famiglia, vite ordinarie che vengono all’improvviso sconvolte o messe in crisi da un incidente, un tradimento, dalla nascita di un figlio o da un figlio che non arriva. C’è tanto dolore in queste pagine, tanto dolore con cui Zardi a tratti (Cellule, per esempio) sembra riuscire a fare qualsiasi cosa.
Una nota di merito finale va a Neo. Mentre in Italia si fa di tutto per affossare il racconto, si continua a considerare un dogma l’idea che le raccolte non vendono e che non c’è niente da fare, la giovane casa editrice abruzzese, su sette libri, ha già pubblicato due raccolte di racconti (Antropometria e I cani là fuori) e due antologie di autori vari (E morirono tutti felici e contenti e il recente Trema la terra). Se poi si pensa che tra gli altri c’è pure un libro di poesie (La mia Waterloo ventricolare – Roberto Di Egidio) allora non si può che appoggiarne la coraggiosa linea editoriale, guardare ad essa con simpatia e speranza.
Francesco Sparacino