La risata dei mostri

Autore: Alexandra Censi
Casa editrice: Nottetempo
Pagine: 199

Terzo volume (tre indizi fanno una prova secondo la Christie) della collana narrativa.it diretta da Chiara Valerio, La risata dei mostri è un romanzo diviso in tre parti, in cui la protagonista viene raccontata durante tre differenti fasi della sua vita.

Nella prima parte (Dissolversi del cervo), Francesca è una ragazzina tremendamente innamorata del padre. La sua cameretta è invasa da esseri immaginari che l’assediano e le compaiono durante le notti insonni, notti trascorse ad ascoltare gemiti provenire dalla camera da letto o dalla cucina, notti a spiare le pratiche sadomaso dei genitori, la mamma di cui essere invidiosi per la sua capacità di godere delle sofferenze inflitte dal marito.
Qui Amélie Poulain non è in un fantastico mondo, ma in un mondo allucinato, dove un curioso mostro disturba con le sue risate le già disturbate notti («Esistono sulla terra vari mostri, alcuni è possibile vederli tutti i giorni in fila alla cassa del Carrefour o in fila alla posta, o in fila al bancomat o in fila per entrare a vedere La dolce vita»).
Nella seconda parte (Fascinazioni), la protagonista è cresciuta e convive con stile trasandato insieme a un uomo ossessionato dagli accendini, mentre nella terza (Spellato con drappo) Francesca quarantenne è una moglie borghese che trascorre il tempo a incontrare in videochat uomini dalle spiccate paranoie.

Le tre parti possono vivere di vita propria ed essere considerate come racconti indipendenti, o tutte e tre concorrono allo sviluppo e all’unità del romanzo? La quarta di copertina ci indirizza verso quest’ultima ipotesi, ma se così fosse si tratterebbe di un romanzo debole e anche facilmente riassumibile: la storia di una ragazzina che diventa giovane che diventa poi adulta. Considerando invece le tre storie come dei singoli racconti, il giudizio potrebbe apparire meno negativo, e il tutto decisamente più organico.
La risata dei mostri, comunque, non soddisfa nell’insieme: una storia plurale che pur nella sua singola originalità non stupisce, non colpisce, non rimane.
Alexandra Censi utilizza una lingua a tratti ricercata e quasi nevrotica (in particolare nella seconda parte) con il risultato però di apparire artefatta («le tendine del bagno, chiuse a fisarmonica, sono di un rosso che ricorda gli aranci siciliani, mafiosi e sanguinolenti»); uno stile che non riesce a essere la vera forza del romanzo e non aiuta alla comprensione della psicologia della protagonista.
Alla fine il lettore si chiede chi sia veramente Francesca, vera forza centripeta del libro: la bambina smaccatamente affascinata dal padre o la giovane indifferente al mondo o ancora la disillusa moglie annoiata dagli uomini? («mi piacerebbe trovare il demone della vita, ma qui non c’è niente»).

Se c’è una costante in queste tre prime uscite della collana di Nottetempo è lo sforzo di essere originali (ad ogni costo?) e di portare vento fresco nei territori della nuova narrativa italiana. L’operazione però non sembra aver dato sempre risultati convincenti, sia per credibilità nello stile di scrittura (in più di un caso ancora troppo acerba), sia perché l’iniziale sforzo degli autori alcune volte è apparso come un gioco cerebrale a scapito della leggibilità e fruibilità del testo.

Giuseppe Rizza

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