Dalla quarta di copertina dell’edizione spagnola di El duelo y la fiesta (Principal de los libros, 2012):
Interno in un seminario da quando la madre l’ha abbandonato, il diciassettenne Elías riceve da padre Damián un incarico particolare: andare a casa di Blanca Valente, una poetessa malata, per ascoltarne la confessione e assisterla durante i suoi ultimi istanti di vita. Senza sapere bene cosa si fa in questi casi, Elías si reca timoroso a casa della poetessa. In quel luogo silenzioso confluiranno altri personaggi disorientati e smarriti: la donna di servizio di Blanca Valente, segnata dalla fuga di un figlio che forse non ha mai amato; un giovane insegnante che sta scrivendo un saggio sull’opera della poetessa; una ragazza ribelle che fugge da una madre che odia.
Jenn Díaz costruisce, con una prosa apparentemente ingenua, un edificio letterario di enorme potenza simbolica e indaga senza timore l’aspetto più perturbante dei sentimenti umani.
Hanno detto di El duelo y la fiesta:
Un linguaggio potente e stimolante che raggiunge un livello ancora più alto grazie a un ritmo narrativo perfettamente controllato.
(Ana Rodríguez Fischer, El País)
Puro realismo magico con cicatrici. Così giovane, è già pronta a scuotere il panorama letterario.
(Laura Fernández, El Mundo)
Una delle migliori esordienti della splendida generazione della crisi. Una promessa per il futuro e una notizia eccellente per i lettori.
(El Cultural)
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«Dice padre Damián che devi andare a trovare questa donna che sta morendo, che devi andare a casa sua perché non può muoversi, che sarà un’esperienza molto importante per te, che non sa cosa gli succede, che non può muoversi, che non può venire, che vorrebbe accompagnarti, che gli è impossibile, che quando torni devi chiedere di parlare con lui, che è molto malata, che bisogna fare in fretta. Dice che è una poetessa.»
Elías non capisce perché Antón, quando deve riferirgli un messaggio, fa precedere tutte le frasi da un che. Qualche volta ha pensato di dirgli che se lo usa nella prima frase è sufficiente, poi può dire il resto come se fossero parole sue. Ma Elías è sempre così spaventato (come pure padre Damián, che è spaventato, perché sta morendo una… poetessa, quella poetessa, e non si può muovere, dice), vive con tanta paura inspiegabile che preferisce non raccontare ad Antón quello che pensa del suo modo di parlare: non saprebbe nemmeno difendere la propria critica, giustificare perché (e in che modo, Dio santo) gli dà fastidio come parla. Fa cenno di sì con la testa e se ne va nella sua stanza per vestirsi e andare a trovare quella donna (non ha mai conosciuto un poeta, tanto meno una poetessa) che sta morendo e ormai non può – o non vuole – muoversi dal letto. Ma prima ha deciso di andare clandestinamente nella stanza di fratello Eduardo per controllare se, nella biblioteca proibita e segreta che c’è sotto il suo letto, nascosta in un buco che hanno fatto nel pavimento e con un tappeto che copre la botola, ha qualche libro di quella donna.
Antón l’ha seguito fino in camera sua, la stanza che condividono, e aspetta ansioso che finisca di vestirsi per chiedergli che, che, che. Come se, in qualche modo, Antón potesse sdoppiarsi e non essere lo stesso che gli ha dato la notizia, il messaggio, e adesso sentisse la curiosità irrefrenabile di sapere cosa gli ha detto padre Damián (che dice cose che non si capiscono, a volte). Quando Elías esce dalla camera e incontra gli occhi di Antón, quasi verdi, disgustosi, sempre così aperti, che cercano chissà cosa, sente solo una voglia terribile di sparire. Tutti i giorni ha nostalgia della prima volta che ha visto Antón, perché lo ha trattato come uno sconosciuto. E a Elías questo piace. Sentire che nessuno lo nota, che gli occhi di Antón non lo seguono curioso ovunque vada, sentire che nessuno lo perseguita. E Antón, senza dubbio, lo perseguita dal momento in cui, quando hanno assegnato le stanze per gli interni del collegio, gli ha chiesto per favore di stare insieme.
Se per favore, per favore, per favore potevano stare insieme.
I genitori di Antón non si interessavano all’infanzia del figlio. Quando Elías voleva fargli male, provocarlo, tirare fuori quel lato che di sicuro aveva e nascondeva con parole gentili e gesti teneri e insicuri, gli parlava dei suoi genitori. Antón geme come una bestiolina quando Elías cerca di ferirlo e lui, che non si aspetta da se stesso tutto quello che però riesce a capire, come e da dove nasce tutta la sua cattiveria, non può smettere di usare quel potere che esercita senza volere sul compagno di stanza. Così, quando esce e lo incontra con una domanda sulla punta della lingua, quella sua lingua sudicia, subito gli viene voglia di parlargli dei suoi genitori e farlo sentire così male da fargli seccare la gola, in modo che lo lasci in pace e possa andare a vedere la poetessa; ma all’improvviso prova pena e immagina che sia la fiducia che ha riposto in lui padre Damián affidandogli la moribonda che lo sta condizionando (dato che è padre Damián quello che conosce la moribonda, se non può andare lui, allora che muoia in pace e basta, insomma, chi sarà mai). Antón gli chiede se ha paura ed Elías finge: ci sono molte cose che Elías potrebbe confessare davanti agli altri, ma non la paura. Tra l’altro quello che prova è qualcosa di più allegro, una trepidazione che lo agita e gli dà energia nei minuti in cui si sente sulle spalle quella responsabilità.
«Spostati» dice a Antón, che si gli si mette davanti per non lasciarlo passare, in modo che si veda obbligato a guardarlo negli occhi e a rivolgergli la parola sul serio, quelle parole che uno guarda ed è certo che siano rivolte a lui, che non c’è confusione.
La presenza di Antón sembra scivolare sulle persone, le sue parole volano via come il vento e non riescono mai a toccare nessuno. Non riesce a farsi un vero amico che gli confessi i suoi dubbi, le sue paure, ma con Elías non smette di provarci. Forse perché sa che tra tutti, tra tutti quelli che ha conosciuto in vita sua (che non è così lunga, ma è la sua), è quello che ha più cose da nascondere; quello che, se alla fine gli confidasse un segreto, ne varrebbe la pena. Ma Elías adesso già non può vederlo, lo schiva con un’indifferenza nuova che deriva da una compassione che Antón, preso dalle sue idee noiose, non può indovinare. Lo scansa e continua a camminare.
«Elías non cambierà mai» pensa Antón e sembra una moglie sofferente che osserva il suo uomo andarsene di nuovo; potrebbe sembrare, addirittura, la madre misteriosa di Elías.
Si dirige quasi senza volerlo verso la camera di Eduardo, e anche se dà tre colpi sulla porta, come hanno stabilito per le sue visite alla biblioteca, nessuno risponde. Elías ricorda le parole sulle labbra di Antón, sulle labbra di padre Damián, e sa che non ha il tempo di fermarsi per ogni contrattempo. Entra nella camera di Eduardo, si china, guarda sotto il letto, solleva il tappeto, solleva la botola e senza guardare tasta i primi fogli del primo libro che gli capita sottomano. Ci sono donne nude, è una rivista dove ci sono donne nude. Elías non ha mai visto una donna nuda. Ha visto decine di ragazzi nudi, ma mai una donna nuda. E non sapeva se gli sarebbero piaciute. Ora sa che sì, gli piacciono. Ma sa anche che c’è una poetessa che sta morendo, che ha un incarico. E lascia quelle donne meravigliosamente nude dove le ha trovate ed esce accaldato in strada. Non gli è ancora chiaro cosa faccia Eduardo con quelle riviste, con quelle donne, quanti ragazzi le hanno viste, a cosa gli serviranno se non possono toccarle, se non possono sentirne il profumo, e la morta è sempre più lontana, sempre di più, nonostante continui ad andare verso casa sua, nonostante sia sempre più vicino il momento in cui la incontrerà.
Già davanti alla porta prova ad allontanare dai suoi pensieri i seni della donna della rivista, prova con tutta la sua fede, con tutto se stesso, ad allontanare quel momento. Il povero Elías, l’innocente ma astuto Elías, immobilizzato da quella paura che gli stringe la sottana, con la quale lo minacciano se non fa il suo dovere; il fratello che tutti vogliono vicino, Elías, amato dai compagni, dimenticato dai genitori. Adesso, davanti a un volto sconosciuto che apre la porta e chiede:
«È venuto lei a vedere la signora Blanca? Credevo che sarebbe venuto padre Damián, dalla faccia che aveva fatto sembrava che… vai a sapere; ma va bene chiunque, basta che porti la parola di Dio, basta che aiuti la povera Blanca mentre esala i suoi ultimi sospiri, che sembra di sentirli da qui, aspetti…»
E la donna, che avrà all’incirca cinquant’anni e le rughe di una persona molto più anziana, ma l’agilità quasi inalterata, acuisce con un gesto l’udito e, con una faccia ingenua, finge di ascoltare il sospiro di Blanca Valente, che rimane in silenzio sul suo letto di morte.
Elías pensa disperatamente a padre Damián (che vuole dire, che faccia aveva fatto) e cerca di invocarlo affinché si faccia vivo e lo salvi da quella situazione, per non essere solo; vorrebbe addirittura che ci fosse fratello Antón con la sua faccia da stupido, con la sua pelle sottile, con i sui discorsi continui, ripetitivi, stancanti. Ma è solo; Elías si rende sempre conto di essere solo quando, all’improvviso, capisce che ha bisogno della gente, che è vincolato all’opinione degli altri, all’approvazione di tutti. La donna continua a cercare di sentire e a Elías si immobilizza il collo e chiede un bicchiere, per favore, di acqua bella fresca. La donna lo fa entrare e, una volta lì, Elías si rende conto di come la morte abbia paralizzato una parte della casa. Sa, di colpo, che non ha fede in Dio, però non osa dirlo a se stesso, così cammina a passi che sono quasi salti dietro alla domestica, e le vuole bene come se fosse sua madre o sua nonna, le vuole un bene incondizionato e ha bisogno che lo protegga.
«Ecco qui il suo bicchiere, signore; ora vada a vedere la signora Valente.»
Elías non si sente pronto. Le dice: non credo di essere pronto. Ma la donna di servizio gli dà un pizzicotto sulla guancia e gli sorride, candidamente, aspettando la conferma della battuta. La conferma non arriva. Elías è impietrito e muore di paura, paura della morte, paura della poesia. Però la donna (non avrà un marito, questa donna, dove dormirà, per chi lavora, cosa vuole, quale Dio prega?) già lo sta spingendo, e conducendo, attraverso un corridoio di calce bianca che cade a pezzi. Ogni tanto, la pressione sulla schiena di Elías scompare e, quando si gira, la domestica sta raccogliendo una scalcinatura della parete caduta a terra, o del laniccio o un pezzettino di qualcosa. Quando si rialza, continua a spingerlo come se fosse la carrozzina di un bebè.
Ora sono di fronte alla porta di Blanca Valente, completamente chiusa. Dietro a loro, i figli in silenzio, addolorati prima del tempo. Elías china un po’ la testa in segno di saluto e tutt’e due lo guardano straniti, senza sapere da dove diavolo (con tutto il rispetto) abbiano fatto arrivare quel prete ragazzino. La domestica sorride compiaciuta, come per dire che non c’è bisogno che la ringrazino, che lo fa per la signora, che non è il caso: che, insomma, ci mancherebbe, con tutto quello che lei ha fatto per me. Tutto è così ermetico, lì, così laconico e impossibile. Tutti sanno che c’è qualcosa che non va, a parte il fatto che Blanca Valente morirà e, con lei, tante voci. Ma Elías è estraneo a quel mondo e, in un momento di audacia eroica, bussa alla porta tre o quattro volte per farsi dare il permesso di entrare. Pian piano lui e la domestica iniziano a farsi coraggio l’un l’altro, come se in loro ci fosse qualcosa di glorioso e segreto. Si guardano e si fanno cenno di sì, in attesa, desiderosi di entrare nella stanza di (pensano) quella povera donna. Non risponde nessuno.
«La signora starà dormendo, non è così?» dice la domestica, guardando i figli.
«Un attimo fa la stavo sentendo, non credo che si sia potuta addormentare così velocemente. O forse sì. Quanto sonno si può avere in questi casi?»
«Non sia insolente. Dev’essere molto stanca.»
«E se è già morta?» dice l’altro figlio, angosciato, credendo che ci avrebbe messo molto di più a pronunciare quelle parole, credendo che la propria domanda abbia acceso una scintilla di verità nell’ambiente.
«Entro!» dice Elías, del tutto rinvigorito.
Ma rimane fermo e chiude gli occhi e gli gira la testa. Si volta e li vede tutti concentrati sui suoi movimenti. Chiede, per favore, un altro bicchiere d’acqua, e senza aspettare ripercorre all’indietro il cammino che ha appena fatto e si frena davanti alla porta dalla quale è entrato qualche minuto prima. Prova una voglia terribile di piangere e pensa a sua madre e la maledice perché in fondo finisce col darle la colpa di tutto quello che gli succede, e anche quando accade qualcosa di bello si ricorda di lei, ma quando si sente abbandonato, come di fronte a questa porta, vorrebbe scuoterla per le spalle e chiederle perché non ha potuto amarlo come tutte le madri amano i propri figli, con quella tenerezza incondizionata, con rispetto e prudenza, senza ruvidezze, senza asperità. In quel momento la donna di servizio compare, è dietro di lui, in silenzio, come se intuisse i suoi pensieri. Elías fa un mezzo giro per dire di nuovo alla donna che gli dispiace davvero, che non era mai stato così maleducato prima, ma voltandosi vede una porticina aperta che dà su uno studio pieno di libri (oh, perché deve pensare proprio adesso alle donne nude).
«Qui è dove trascorre tutto il tempo la signora Valente; può entrare se vuole. In fin dei conti, ormai nessuno potrà riprenderla. Perché se lei fosse viva… Dio mio, cosa dico, volevo dire quando Blanca si sentiva viva – così va meglio – non lasciava entrare qui nessuno, però io di notte, qualche notte che sono rimasta, o qualche mattina che lei non c’era, guardi quanto può essere curiosa una, venivo qui al buio e mi mettevo a leggere quello che c’era sul tavolo e toccavo i libri. Pulivo un po’ pure, perché guardi che disordine. Insomma, entri, lei è un privilegiato a poter entrare qui in pieno giorno, senza nessun pericolo di essere scoperto, dico davvero.»
Elías entra e non ha ascoltato assolutamente nulla di quello che ha detto la domestica. Prende un libro e lo accarezza e pensa alla donna nuda della rivista. Non darà mai piacere a una donna. Lo sa. Però può desiderarla. Può farlo in segreto, gliel’ha detto padre Damián una volta che pioveva molto e che gli diceva piccolo, molte volte, con affetto (però non desiderare come si desidera che tua madre ti dia un abbraccio, bensì desiderare), ed Elías quasi impazzisce di nostalgia, e padre Damián lo accompagnò in una passeggiata per gli spazi comuni che possiede la residenza dove vivono tutti insieme. Elías gli chiese se gli mancasse sua madre.
«Qui si impara a vivere senza donne, caro. Donne, come dico io, proibite, e donne permesse. Uno dimentica sua madre e cerca anche di dimenticarsi delle mogli. Voglio dire, della moglie, di una sola, di quella che non si è mai avuta. Credimi, ci si riesce, soprattutto, pensando a loro in segreto. Io penso a molte di loro. Ad alcune più che ad altre.»
Elías non riesce a dimenticare sua madre e si vergogna di lei, però gli manca tanto e gli piacerebbe tanto che una donna potesse abbracciarlo. Dietro di lui c’è la domestica che continua a parlare. Gli chiede quanti anni ha ed Elías dice diciassette, tra due giorni diciassette.