Revisione dei conti, animali umani, pizzicori inguinali, amori platonici
di Carlo Crosato

1.

Devo pensare altri tagli, una spending review sostanziale, che qui non si tira avanti. Devo pensare altri tagli, perché credo ci sarà presto da pagare l’idraulico, perché io, più che continuare a star qui seduto davanti l’oblò, non so cosa farci a questa maiala di lavatrice. Mi metto qui, guardo che gira, gira, gira, poi apro quando ha finito, e c’è ancora tutta la schiuma e anche due dita d’acqua, non scarica, e io perdo tanto di quel tempo che a ‘sto punto devo chiamare l’uomo.
Gianrico, pare che a lui non gliene freghi niente. Ogni volta che gli dico che ci sarà una spesa da fare, cioè l’idraulico, sperando che non sia anche da comprare una lavatrice nuova, e ogni volta che glielo dico, lui dice che magari è solo una volta che non ha funzionato, che vedrò che la prossima volta funziona. Ma se è un mese ormai che ci mettiamo la roba ancora insaponata, che se poco poco un giorno prendiamo la pioggia, poi iniziamo a schiumare dalla schiena, come i cavalli. Comunque pare che a lui non lo tange questo problema qui, anche se in realtà io ho visto che ultimamente la biancheria se la lava a mano, perché, soprattutto le mutande, mettersele con il sapone ancora addosso, poi, dopo un po’, inizia a grattare sotto.
Lui, ho visto, la roba inizia a lavarsela a mano. Io, invece, non me la lavo, né con la lavatrice né con le mani, io mi metto la roba che ho ancora pulita. Oggi, per esempio, giravo per casa con calzini di ieri, canottiera, maglietta del pigiama, felpa pesante, un caldo!, e le braghe del vestito elegante. Altro, non ho.
In mattinata mi ha chiamato Pierfrancesco. Mi ha fatto piacere che mi abbia chiamato, perché io, stamattina, non riuscivo a svegliarmi. E piuttosto che mettermi a lavorare, mi sono persino passato il filo interdentale. Un altro taglio che dovrò fare, il filo interdentale, così come, per esempio, ho tagliato il deodorante per piedi, il vape e l’origano. E Pierfrancesco mi ha telefonato, mi ha chiesto se ci si vedeva che mi spiegava un nuovo progetto che aveva in mente, che voleva sentire cosa ne pensavo. Tanto so com’è Pierfrancesco, che bisogna dirgli solo che le cose che fa ti piacciono, altrimenti se la prende, e se gli chiedi cosa te lo chiede a fare un parere se poi non accetta un parere contrario, lui si arrabbia ancora di più. Ma oggi, piuttosto di mettermi a lavorare su ‘sta tesi che sto facendo per il dottorato, che mi pagano anche, ma poco e allora oggi, anche se mi prendo un giorno di pausa non succede niente.
In realtà questa indolenza per la tesi mi è iniziata proprio ieri. Ero sulla Quinta Meditazione di Husserl, l’ultima, poi Husserl non ha più meditato si vede. E il traduttore, tale F. Costa, per gli amici Pippo, illuminato dalle muse dei traduttori e dei pensatori di ogni tempo e luogo, ha piazzato una frase che, devo dire, non mi è risultata più di tanto chiara. E dopo aver letto questa frase per dieci volte, ho preso il libro, ho respirato profondamente e poi l’ho lanciato contro il muro, fatto che ha lasciato sul muro una virgola di verde, ma non se ne accorge nessuno. Tutto ciò ha un senso che esclude il costituito dai momenti concreti del concreto io-stesso concretamente costituito di senso facendo di tal costituito quasi un suo analogo. Uno dice eh, ma a leggere così, senza contesto, non si capisce per forza. No, no, anche con il contesto non si capisce niente.
Pierfrancesco mi chiama e mi fa oh, ci vediamo che ho una roba da dirti per vedere come la vedi. E io gli dico sì, vediamoci, ma vieni tu, che io son senza mutande. Dopo un paio di secondi di silenzio riflessivo, Pierfrancesco mi ha detto che a lui va bene, quand’è che vengo?, mi chiede. Ma vieni quando vuoi, tanto io da qui non mi muovo. Ok, vengo quando voglio.
A mezzogiorno e mezzo, suona il campanello di casa, apro, e trovo Pierfrancesco accosciato sullo zerbino, che fa dei movimenti strani con la testa, la muoveva in modo scattoso, senza fluidità, la muoveva adesso qui, adesso lì, e rivolgeva il suo sguardo vacuo in luoghi sempre diversi, ma scelti a caso. Io gli chiedo se va tutto bene, lui fa un suono gutturale, e, sempre rimanendo accucciato, fa due passi dentro casa e io chiudo la porta. Mentre chiudo, lui è già in cucina, con la testa dentro la cassetta del pane, poi salta su una sedia, con i piedi, e rimane lì, sempre accucciato, a studiare l’ambiente. Io gli chiedo se va tutto bene, e lui fa ancora un suono gutturale, di gola, come uno che ci ha una nocciolina incastrata tra esofago e trachea, o un pezzo di qualcosa che fa l’altalena con l’epiglottide. E allora gli chiedo oh, coglione, cos’hai?
A quello, Pierfrancesco scende dalla sedia, si mette in piedi e poi si siede, come un cristiano, sulla sedia, e mi dice ma niente, è il mio nuovo progetto che ti dicevo, cosa ti parevo?, mi chiede Pierfrancesco finalmente tornato alla normalità. Eh, mi parevi uno stronzo, gli dico. E allora mi spiega che vuole provare a lavorare a un progetto che consiste nello scrivere delle storie su animali, o meglio, mi dice, storie di animali, scritte dagli animali, e per capire come scriverebbero gli animali, devo vivere come loro, e oggi cosa ti parevo?, mi chiede Pierfrancesco. Eh, gli rispondo confermando la mia prima impressione, mi parevi uno stronzo. E invece ero un piccione.
Pierfrancesco, c’è da dire, ci sono dei periodi che fa una vita d’inferno. Lui è stato mollato da due ragazze nel giro di un anno e, mi pare a me, non si è mai ripreso proprio del tutto. Mi ricordo che quando era al liceo dava via pizze la sera, col motorino, poi, finito il liceo, classico con indirizzo linguistico, finito quello non aveva più voglia di studiare, è andato in posta e, dopo aver fatto un’ora di coda, arriva al bancone, e dice ai forellini che ci sono nel vetro che separa la gente comune dagli impiegati postali, dice io sono un ottimo guidatore di motorino, serve un postino? L’impiegato gli ha risposto che no, non gli serviva nessun postino a lui, ma che si doveva rivolgere al direttore per sapere se all’ufficio poteva interessare la sua candidatura. Fatto sta che poi l’avevano preso. Poi, come ho scritto, l’anno scorso due ragazze in un anno, ha mollato il lavoro, e poi basta, io non so con cosa mangi, con cosa paghi l’affitto, con cosa paghi le bollette, con cosa i biglietti dei mezzi, ruba?, mendica?, ha vinto la lotteria?, è un ricco ereditiere?, so che lui fa una vita d’inferno, ma la fa con una dignità invidiabile. Non fosse per i giorni in cui fa il piccione, che sono giorni in cui la sua invidiabile dignità sfuma in imbarazzanti tentativi di tirare avanti la carretta, non tanto economica, quanto invece la carretta emotiva. In altre parole, si deve pur tenere distratto.
Come tutti, si dirà, anche lui deve tenersi occupato. Ma lui, invece, non ha mai niente da fare, si annoia, pensa alla Giulia che l’ha mollato prima e alla Laura che l’ha mollato poi, credo che poi pensi anche ai soldi che dovrebbe avere ma che non ha e che gli servirebbero. Però con una invidiabile dignità. Lui, di soldi, io non l’ho mai sentito parlare, non mi ha mai detto, non so, non mi ha mai detto oh, hai mica moneta per il conto che io ho solo pezzi da dieci?, come scusa per farmi pagare al bar. Non mi ha mai detto oh, guarda, sono sotto con tutto, non arrivo neanche a prendermi il pane. Anzi, un giorno mi ha anche fatto un discorso, forse il discorso più vicino ai soldi che mi abbia mai fatto, un discorso sull’eterogenesi dei fini in Hegel e in Marx, spiegandomi che se ci penso i soldi sono solo un mezzo, che io, che non ne ho e che mi preoccupo per il mangiare, per le bollette e per tutto, io ho fatto diventare i soldi un fine, mentre lui, che anche lui non ce li ha, ma non si preoccupa, per lui restano un mezzo, un mezzo di cui lui non dispone e che quindi i suoi fini li persegue con altri mezzi. Ecco, io, sulla bontà di questa argomentazione, non voglio mica discutere, può anche essere che sia moralmente corretta e anche che sia storicamente e filosoficamente fondata, non dico mica. Anzi, ero abbastanza interessato alle sue idee, e adesso, a sangue freddo, non vedo motivo per dargli contro. Devo dire, però, che quando mi ha fatto quel discorso lì, quel giorno lì, io avrei voluto offendergli pesantemente tutti i cari, vivi o defunti. Ma sono riuscito a reprimere questa mia pulsione violenta e ho accettato la situazione, rispondendogli che aveva ragione, che stavo diventando una persona orribile, che mi disprezzo e che non credo più in niente.
Ecco, così è Pierfrancesco, ho dovuto dargli ragione. Che magari ne aveva anche, ma cosa te ne fai della ragione, se poi ti trovi a vivere come un piccione, che mi sono pure chiesto dove caga. Caga addosso alla gente? Ma non mi sono sentito di sollevare la questione, dato che era, almeno nelle apparenze, rientrato entro i confini della razionalità, era meglio tenerlo tranquillo. Poi non ero nelle condizioni, io senza mutande, di fare osservazioni sulle altrui vite.
Gli chiedo se vuol da bere, mi fa di sì. Mi alzo per prendergli un bicchiere, mi fa che si vede che son senza mutande. E allora gli ho spiegato che io, dopo oggi, non ho più proprio niente da mettermi di pulito, che l’unica è tornare sui miei passi, e pescare dalla cesta della roba sporca. E lui, contornato da un’aura argentata, con un coro angelico a accompagnare le sue parole, mi dice di chiedere a Venturi, che lui, suo papà è idraulico e che lui, una volta, gli dava una mano. Se non sa Venturi, sa suo papà, mi dice. Finalmente una soluzione indolore, penso. Grande Pierfrancesco!, gli dico, ti abbraccerei, è che son senza mutande sotto queste braghe troppo fini.
Poi, beviamo avidamente dell’amaro, io perché avevo appena finito di pranzare. Lui, perché lui l’amaro lo apprezza. In realtà non so se abbia mangiato oggi mezzogiorno. So che è un eroe: prova a restare indifferente quando finiscono i soldi, lui ce la fa. E andando via, si avvicina a una mensola vicino alla televisione, guarda una foto e mi fa ma questo qui è Baldini, il poeta?, sì, gli dico io. E perché, mi chiede lui, perché di fianco a Baldini hai messo Pippo Baudo? No, guarda, gli dico io, guarda che quello lì è Marcel Duchamp.
Nel tardo pomeriggio chiamo Venturi, gli chiedo come va, come non va, se era libero anche dopo cena che ci si vedeva, lui mi fa di sì, che andassi al bar che era lì con gli altri, e io gli dico che non potevo, che oggi sono senza mutande. Dopo qualche secondo di riflessione, mi dice ok, va bene, e perché mi chiami, cosa ti occorre? Io gli dico la lavatrice, non va, non so, non scarica, e se scarica non risciacqua, hai tempo e voglia di darle un occhio, non so cos’ha quella vacca. Sì che vengo, passo con la Ale dopo cena, mi dice lui, passo per due chiacchiere e una lavatrice. La Alessia è sua morosa, anche lei, come Venturi, sempre a scuola assieme a me, e da piccoli mi piaceva tantissimo, adesso no, perché è la morosa di Venturi.
E allora oggi pomeriggio mi sono messo a lavorare con una energia mai sentita, che il problema della lavatrice, l’annoso problema della lavatrice, se non era risolto, almeno era a pochi passi dalla risoluzione. E allora mi sono rimesso sul vangelo di Husserl secondo Pippo Costa, con uno spirito rinnovato, sebbene le cuciture delle braghe mi pizzicassero un pochino a livello inguinale.
Poi questa sera passa Venturi con la Ale, Venturi va diretto in bagno con la cintura di cuoio con gli attrezzi, di quelle che io credevo esistessero solo nei film americani e invece Venturi ne ha una, e io sono stato in cucina con la Ale, che mi dice che si vede che sono senza mutande, e io le dico se per cortesia poteva evitare di focalizzare la sua attenzione a quelle altitudini, lei mi dice di sì, volentieri, ma Amedeo fai schifo, mi dice lei. Io le dico che, finché non mi succede niente, finché non ho bisogno di soccorso, non c’è problema, che non vedo nessuno e nessuno mi vede. Ho visto Pierfrancesco oggi, le dico, e lei mi dice che ieri è passato da loro e ha proposto anche a loro la pantomima degli animali. Lei lo odia, e Venturi ha cercato di spiegarle che è una persona in difficoltà. E la stessa cosa le ho detto io, le ho detto che Pierfrancesco aveva provato anche a fare yoga, ma poi il Buddha gli aveva scardinato le giunture delle gambe e quindi, oltre a non poter ritrovare la pace interiore, doveva pure pagare soldi per le terapie con il laser nelle ginocchia. E lei mi chiede dove trova i soldi, io le assicuro che Pierfrancesco vende il proprio corpo.
Poi lei mi domanda, forse con un collegamento cognitivo indottole dal mio essere senza mutande, da quanto tempo non faccio sesso. Io le dico che è piuttosto intima come domanda, e lei mi dice che dovrei vedere gente. Ecco, mi pare che per lei sesso, a questo punto, voglia dire vedere gente, e allora rimango sul suo registro, mi sincronizzo con il suo lessico, e le chiedo con chi dovrei fare sesso (leggi: chi dovrei vedere). Lei mi dice che c’è una certa sua amica, che sta vicino alla stazione, che è stata degli anni con una persona, ma che tre anni fa, poi, si erano mollati e adesso lei non ha nessuno e che, secondo lei, potrei farmi avanti, magari tenendo quelle braghe, mettendoci un paio di mutande sotto e una camicia in coordinato.
L’idea mi stuzzica e le dico di dirmi di più. La morosa di Venturi gira con la macchinetta digitale in borsa, che è un’usanza che ho notato diffusa tra le ragazze, per fare delle foto soprattutto di gruppo, in cui le persone si schiacciano le facce una vicina all’altra per stare dentro l’obiettivo, perché la macchinetta ce l’ha in mano uno dei soggetti ritratti e quindi bisogna star vicini per starci dentro tutti. Le femmine fanno spesso queste foto con facce vicine. Tira fuori e mi mostra questa foto, una ragazza meravigliosa, bionda scura, ma più bionda che bionda scura, occhi azzurri che sembrano parlare, un sorriso che ti vien voglia di sorridere solo a vederla, non è neanche tanto alta perché quella di fianco, per starle vicina con la faccia, ha inclinato la testa come per abbassarsi, poi è magretta, che mi va bene a me, e però, non si vede altro, perché la foto è solo a mezzo busto. Non so se accettare il rischio, vorrei vedere le gambe prima, non vorrei che poi vado via con una che ci ha le gambe di un triceratopo. La Alessia mi assicura che è tutto bene, anche per quanto riguarda le gambe. Si chiama Erika, con la cappa, mi dice la Alessia. Io, devo ammettere, il nome con la cappa mi irretisce un po’, è un po’ troppo gagliardo, mi pare a me. Le dico che ci penso, come se fosse un colloquio di lavoro, come se bastasse un mio sì e tutto sarebbe combinato per tutta la vita.
Poi Venturi mi chiama in bagno e mi dice che secondo lui ha risolto, che c’era un non so cosa incrostato di non so cosa, che ha pulito con non so cosa e che quelli erano i crostoni di non so cosa che posso buttarli in non so dove e che provo a fare una lavata e che se non funziona ancora, mi porta suo papà, che mi fa bene, che da noi significa che pagherei poco.
Non so cosa, spero bene.

2.

17 marzo 2013

Gentile ragazzaconlacappa,
allora, io, forse non mi conosci, io non ti conosco però c’è un’amica che ho, morosa di un amico, e lei, asilo elementari medie, sempre in classe insieme, all’asilo mi piaceva e alle elementari l’ho invitata al mio compleanno, solo lei, una festa molto esclusiva, e questa mia amica è anche amica tua, mi ha detto che abiti vicino a dove i treni rallentano per far salire le persone, io ultimamente non ci passo molto, ma mi son detto subito che sicuro che la prossima volta che passo per di là, chissà quando perché adesso sono in tesi per il dottorato, con borsa, e studio tutto il tempo a casa, ci son dei giorni che credo di diventar matto da quanto studio e poi dormire, dormo di un male, non ti dico, delle notti che mi metto lì, io vado a letto sempre piuttosto tardi perché ho sempre delle cose molto importanti da fare, però poi vado a letto, mi metto lì, guardo il soffitto un po’, poi spengo la luce, continuo a guardare il soffitto che, a quel punto, non lo vedo più, perché è buio, però io continuo a guardare il soffitto e non prendo sonno e sto così tutta la notte, poi vedo che fuori è chiaro, io sono tormentato, non so, io da piccolo volevo diventare un poeta maledetto, Baudelaire, a me da piccolo mi piaceva Baudelaire, mi pareva che aveva uno sguardo vispo, e volevo diventare un poeta maledetto, io adesso mi guardo, io del poeta maledetto ho che sono tormentato, ma niente di più, non ho niente del poeta maledetto, solo il mal di vita, ma non nel senso del mal di pancia, che quello ce l’avevo a sei o sette anni, di quei mal di pancia, ho fatto anche visite, mi dicevano che era perché ero emotivo, il motivo che ero emotivo non so, ma mi dicevano così, come anche adesso, che io ho sempre il cuore che va forte e il dottore mi ha detto che posso provare a fare yoga, perché secondo lui è stress, e anche il gastroenterologo e il dottore della testa, tutti stress, e allora si vede che è così, che non diventerò un poeta maledetto, ma che è solo stress.
Io stasera, volevo dire, mi sono fatto la doccia, io mi faccio sempre la doccia fredda, mi piace l’acqua fredda, come al mare, le docce per mandar via il salso del mare, che son sempre fredde, ti manca il fiato, e comunque stasera dopo la doccia, andavo in cerca del deodorante, due spray, tutti e due vuoti, mi è venuto da tirare giù un madonno per la disperazione, non si può senza deodorante, che io, devo dire, sono uno che suda pochissimo di norma, ma farsi la doccia e stare senza deodorante è come non farsela, la doccia. E insomma, ho detto alla Anto se veniva a portarmi un deodorante, che la aspettavo in bagno, che casa mia è sempre tutto aperto, non c’è paura dei ladri a casa mia, perché, nel caso venissero a rovistare, non possono far altro che darmi una mano a cercare i soldi, che, a casa mia, non ne ho tanti. E ho aspettato la Anto seduto in bagno, in accappatoio e intanto pensavo che razza di vita che faccio, a svegliarmi tutte le mattine, colazione, cacca, denti, e poi giù a studiare, sai da quant’è che io non bevo un amaro?, io l’amaro ce l’ho a casa, io bevevo amaro come acqua, non bevo seriamente l’amaro da mesi, capisci? E ero lì, aspettavo il deodorante, la Anto mi aveva detto che mi portava il deodorante marca Dove, e pensavo che non è una vita, studiare tutto il giorno, fermarsi solo per il pranzo, poi di nuovo studiare, poi la doccia per svegliarmi un po’ e poi cena, mi faccio sempre la stessa cosa di cena che non ho tempo di pensare cose diverse, e poi mi dico bon, stasera faccio un giro al bar, ma intanto, mi dico, due minuti sul divano. Prendo sonno, mi sveglio alle due, vado a letto e fin mattina soffitto, al buio.
Cara ragazzaconlacappa, io non ho tanto da chiederti, ma solo una cosa, ma i tuoi genitori, io vorrei conoscere una persona che ha messo un nome con la cappa alla figlia, che mi pare una cosa estrosa, secondo me è questione di proteine nella dieta, ma può essere che non mi sbagli quando me li immagino simpatici.
Ti potrò sembrare strano per quello che ti scrivo, però io ho questo problema, che mi si consuma tutto il cervello, e mi restano pochi contenuti poi. Se avrai il cuore di rispondermi, io abito davanti la posta, di fronte al Conad, al quarto piano, d’estate un caldo. È un palazzo con le palle luminose fuori. A presto.
Amedeo.

19 marzo 2013

Cara ragazzaconlacappa,
cos’hai sognato stanotte? Perché io, devo dire, mi sono sognato te, tutta la notte. Tu ridevi del mio cuore di kevlar, e mi scrivevi delle cose sulla schiena, e ridevi quando provavo a indovinare. E l’ultima volta che mi hai scritto qualcosa, cioè stamattina ormai poco prima di svegliarmi, mi avevi scritto L’estate fa caldo e lui insegna al cane. O almeno questo era quello che avevo capito io, ma poi chissà cosa mi avevi scritto davvero. Io, poi, stamattina, non volevo più svegliarmi, la sveglia suonava, io le dicevo Stai zitta!, e lei suonava, l’ho spenta, ho dormito un’altra oretta, fino alle otto, ma ho detto Vaffanculo, domani non mi metto la sveglia, così se vuoi scrivermi altre due o tre cose sulla schiena, io sto lì con te a indovinare. E volevo anche dire che ieri sera, la notte non era cominciata proprio con i migliori presupposti, perché prima di dormire mi ero messo a fare un po’ un ripasso di quello che era successo durante la giornata per vedere cosa c’era che andava bene e cosa invece andava male e, lo ammetto, ieri erano di più le cose che andavano male e infatti mi ricordo che l’ultima cosa che ho pensato prima di prendere sonno è stata Ma sarò mica psicopatico?, e poi ho preso sonno. E però, anche se la notte era cominciata con tutte queste preoccupazioni inerenti la mia salute mentale, poi è finita con te che mi scrivevi cose sulla schiena, prima eravamo in spiaggia, ma poi mi sono ricordato che a me il mare fa cagare, scusa la schiettezza ma mi fa cagare, e allora dalla spiaggia, senza neanche accorgerci, poi eravamo in salotto a casa mia, con la televisione accesa, ma che tanto non la guardavamo perché c’eri tu da guardare, che sei bella, e che comunque neanche te non ti vedevo, dato che mi stavi seduta dietro e mi scrivevi sulla schiena. E comunque, anche se non ti vedevo, mi pareva che anche il solo dito che correva su per la schiena, anche solo quello era già bello e mi bastava.
Questo volevo dirti. E poi un’ultima cosa. Fra pochi giorni finisce l’inverno e inizia la primavera. Io, ci son dei giorni in primavera che son di un contento che mi sembra di essere un bambino. Ci sono di quelli in cui sono assonnato, come un po’ tutti in primavera, e allora resto a fare poche cose giusto per far passare la giornata. Ma poi ci sono quei giorni che sono felice come un bambino. Che poi, anche in quei giorni lì, io faccio poco, che a non far niente sembra che il tempo vada più lento e così la bella giornata passa più lenta. Io, in primavera, faccio pochissime cose.
Adesso ti devo salutare, perché c’è quello di fianco a casa mia, patito del giardinaggio, che minaccia di mettersi a tagliare con la macchinetta tutta la siepe e quindi farà un casino che io non riuscirò a studiare per tutto il giorno. E allora è meglio che mi metta a far qualcosa, prima che lui inizi a attaccare quella sua macchinetta che fa un rumore che non ti dico. Per il resto, ti ho già detto, abito vicino al Conad, se ti servo, son là. E se invece ti serve, non so, zucchero, latte, ecco, vicino a me, c’è il Conad.
Cordialmente saluto
Amedeo

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