Kyo dake wa.
(Solo per oggi)
Al terzo seminario sulla Merkabà, Salvatore non era riuscito a capire come fosse fatto un doppio tetraedro, figuriamoci se riusciva a visualizzarlo.
Perciò tutte le mattine, prima di aprire il negozio, dedicava mezz’ora alla meditazione, ripetendo tutti e diciassette i respiri che aveva imparato a memoria quando viveva a Bologna.
I ragazzini che entravano alla seconda ora, passando di là, giravano la testa verso la vetrina e lo vedevano, immobile, il sedere in equilibrio sul cuscino in pula di farro con il fiore di loto ricamato sopra, la kurta e i pantaloni bianchi, e intorno una o due lampade di sale dell’Himalaya, i fumi del Palo Santo a profumare l’ambiente. Il solito disco di Marco Milone – ma questo i ragazzini non potevano sentirlo – girava nello stereo.
Mezz’ora dopo, allo scatto della sveglia, Salvatore apriva gli occhi e si alzava, lentamente sbuffando, spegneva le lampade, si cambiava i vestiti, rimetteva il cuscino nella busta di plastica, spegneva lo stereo e apriva la porta del negozio.
Un doppio tetraedro non poteva mica visualizzarsi così, da un giorno all’altro.
Qualche minuto dopo arrivava suo cugino Giacomo:
«Savvato’, oggi non ho che fare, ti sono venuto a tenere compagnia».
E questo succedeva tutti i santi giorni. Salvatore cambiava musica, metteva Dente o Andrea Cola o i Massimo Volume, e di lì a un’ora, quando vedevano che non arrivava nessun cliente, cominciavano a parlare delle solite cose.
«Il mondo sta cambiando, bello mio, non lo vedi?» partiva Salvatore.
Giacomo non rispondeva, lo guardava confuso e aspettava che il discorso riprendesse.
«Il cambiamento è sempre più evidente, è un cambiamento di energia. E noi, Giacomino mio, noi ci dobbiamo adeguare a questa nuova vibrazione.»
Qui si fermava.
La reazione di Giacomo arrivava solo dopo una serie di movimenti ovvi e studiati: un po’ d’imbarazzo, guardarsi intorno per cercare solidarietà negli articoli in vendita, alzare gli occhi al cielo, mettere dentro e tirare fuori le mani dalle tasche dei jeans.
La sua battuta era detta con un tono stanco, annichilito:
«Ma che cosa vuoi sempre con questi discorsi, Savvato’? Sempre con queste fissazioni che uno deve fare una vita spirituale, di parrinu! A mia mi pari chi queste sono cose troppo ambiziose… Ci credo che qua nessuno ti dà conto, Savvato’! Noi qua siamo persone normali, che si fanno la solita vita…»
«Infatti questo è un paese in cui non si può dire niente!» rispondeva agitando le mani. «Un paese di scemi, di ammuccaficu, di creduloni, e questo lo dicono tutti. Solo che poi nessuno vuole sentirsi dire le cose, e quando capita qualcuno che le sa, lo ignorano e lo prendono per fesso.»
«Su questo hai ragione, Savvato’, senza ombra di dubbio» diceva Giacomo a testa bassa.
A quel punto, che fosse estate o inverno, i due cugini erano già arrivati alla porta d’ingresso del negozio, uno dei due l’aveva aperta, facendo uscire l’altro, e avevano cominciato a guardarsi in giro con amarezza.
Era il momento in cui Salvatore iniziava ad alzare la voce, a farsi sentire dagli altri negozianti, dai passanti e, se non fosse che non aveva il vizio, sarebbe stato il momento perfetto per accendersi una sigaretta e cominciare a succhiarla con forza.
Il discorso di Salvatore sarebbe durato ancora una manciata di frasi, poi avrebbero deciso di andare verso il bar, e allora sarebbe stato il turno di Giacomo:
«Dunque tu mi vuoi dire che a un certo punto, tra due anni quasi precisi, proprio sotto Natale, la Terra si fermerà e comincerà a girare dall’altra parte, e se io non avrò fatto un certo lavoro spirituale su me stesso morirò d’infarto?»
«Giacomino mio, così in effetti hai un po’ ridicolizzato la cosa…»
«Savvato’, cerca di capirmi pure tu… Il mio compleanno è il 20 dicembre, non vorrei arrivare al cambiamento di vibrazione tutto ubriaco, capisci?» e lì avrebbe iniziato a ridere.
Dopo il caffè, tornando verso Gommalacca, Salvatore avrebbe dato a Giacomino un consiglio che Giacomino non avrebbe mai seguito:
«Tu sei liberissimo di non credermi, Giacomo mio, però fammi una cortesia: tu adesso tornatene a casa, e prima di pranzo mettiti seduto su una sedia, chiudi gli occhi e cerca di non pensare a niente. Magari ti presto io un disco da mettere».
Solo che quel giorno, mentre le canzoncine di Natale avevano già cominciato a rimbalzare da un muro all’altro del Corso, con gli addobbi e le luci a fare a gara tra le vetrine, Giacomo e Salvatore si dovettero fare indietro per lasciare entrare un cliente.
Salvatore tornò dritto dietro la cassa e ne approfittò per cambiare disco. Guardò di sghimbescio il cliente sconosciuto e prese un’antologia di John Coltrane.
Giacomo se ne andò da solo al bar senza dire niente. Al ritorno, col caffè per il cugino tra le mani, sentì un disco insolito che attraversava la porta chiusa del locale ed entrava nelle orecchie dei passanti. Accelerò il passo, entrò e si trovò subito alla cassa.
Salvatore aveva una smorfia disgustata, le mani nelle tasche, il sedere sullo sgabellino nero che non usava mai, e una specie di grugnito che gli cresceva in gola. The Master of Puppets, intanto, continuava ad andare senza freni. Il cliente non c’era più.
«Soccu successi?» urlò Giacomo nel tentativo di sovrastare la musica.
«Nenti.»
«Ava’!»
«Gia’, lascia stare, mi viene da bestemmiare.»
«Ma è successo qualcosa con quello che è venuto prima?»
«Te lo giuro, mi viene da bestemmiare!»
«Ma ti voleva rubare qualcosa? Sembrava uno così bravo.»
«No.»
«E allora che è successo?»
«Ha detto delle cose che mi hanno… maro’, non mi ci fare pensare! Troppa, troppa rabbia!»
«Veramente? Addirittura? E che ti avrà fatto mai di così tanto brutto? Sembrava proprio una persona particolare, aveva una bella energia. Gli hai parlato delle “cose spirituali”?»
«Ti ho detto che non ci voglio nemmeno pensare.»
«Ma magari questo ti dava ascolto, sembrava uno che faceva pure lui queste cose spirituali come te! Magari ti poteva aiutare, sapeva tutte le cose che sapevi tu! È quello che hai sempre chiesto, di qualcuno con cui parlare di queste cose qui che mi dici sempre a me!»
«Da oggi ti assicuro che di queste cose “spirituali”, come le chiami tu, non ne parleremo più. Sei contento, ora? Ora vattene, per carità!»
«Salvatore, ma proprio tu mi dici queste cose? Tu sei un uomo di profondità, tu sei la mia guida spirituale, non ti lasciare prendere così!»
«Lassami stari, Giacomi’. Vattene a casa e lasciami da solo.»
«Ma me lo vuoi dire che ti ha detto?»
«Vattinni a la casa, fammi ‘sta cortesia.»
«Salvatore, queste sono le emozioni negative, non lo capisci? Quelle che mi dicevi sempre! E se tu ora te ne accorgi fai un lavoro su te stesso! Me lo hai sempre detto! Ora ti devi solo accorgere di questo e calmarti, ok?»
«Vaffanculo.»
«Ma che dici, Savvato’? È importante! E se fra due anni arriva il terremoto planetario tu che fai, ti fai venire un colpo di sangue perché uno scemo qualunque ti ha fatto incazzare? Ma tu mi hai sempre detto che se uno s’incazza significa che non ama, perché se tu ami…»
«Chi devo amare? Un ragazzino, un murvuseddru che chissà come oggi se ne è venuto qua a rompermi l’anima? Vattene, per favore, vattene e lasciami stare!»
Giacomo attraversò l’ingresso senza dire una parola e se ne andò col bicchierino di plastica del caffè ancora tra le mani.
Chiusa a chiave la porta del negozio, Salvatore spense tutte le luci, si cambiò, indossando la kurta e i pantaloni bianchi, accese due lampade di sale dell’Himalaya, mise a terra il cuscino in pula di farro con il fiore di loto ricamato sopra e sostituì il disco dei Metallica con quello di Marco Milone.
Prima di chiudere gli occhi, incrociare le gambe e iniziare la respirazione, profumò l’ambiente col Palo Santo. Poi cominciò.
Rimase in quella posizione pochi, pochissimi minuti. Continuava a pensare al cliente, al negozio, a una serie di altre cose, figuriamoci se c’era spazio per un doppio tetraedro.
Eppure, quando riaprì gli occhi, era soddisfatto. Nessun altro in quel paese ne sapeva quanto lui, nessuno meditava, conosceva il potere dei chakra, dei mudra, nessuno aveva mai sentito neanche parlare della Merkabà.
Che non riuscisse a visualizzare un doppio tetraedro non aveva poi importanza. Qualunque cosa fosse successa due anni dopo – su questo non aveva dubbi – solo lui si sarebbe salvato.