Autore: AA.VV.
Casa editrice: Elliot
Pagine: 179
(di Alessandra Amitrano, Simona Baldanzi, Michele Cocchi, Stefano Di Leo, Giovanni Martini, Sergio Nazzaro, Giordano Tedoldi)
Non è certo nuova, nella storia della letteratura, l’idea di incentrare una narrazione sul rapporto padre-figlio. Ma l’urgenza di tornare a riflettere, in questo preciso momento storico, su tale rapporto è testimoniata dalle opere recenti di alcuni tra i maggiori autori della narrativa mondiale quali Bret Easton Ellis (Lunar Park), Murakami Haruki (Kafka sulla spiaggia) e Cormac McCarthy (La strada).
Nell’Italia odierna, poi, l’esigenza di interrogarsi sui rapporti generazionali coincide con la necessità impellente di indagare il percorso sociale, culturale e politico che ha portato la nostra nazione a trasformarsi in una sempre più imbarazzante caricatura di sé stessa: il rifiuto di quella generazione nata tra gli anni dieci e gli anni trenta di invecchiare e di lasciare il timone di comando, l’incapacità di imporsi dei nati tra gli anni quaranta e i sessanta e la facilità con cui si sono fatti ingannare dal mito del progresso, la rassegnazione con cui noi venuti al mondo tra gli anni settanta e i novanta accettiamo di essere prigionieri di un’eterna adolescenza, hanno innescato nel nostro paese un processo degenerativo che, allo stato attuale delle cose, appare irreversibile.
Partendo da queste considerazioni non posso far altro che reputare particolarmente felice la scelta della casa editrice Elliot di proporre nella propria collana di narrativa italiana (Heroes) un’antologia di racconti intitolata Padre.
Il merito di questa scelta risiede nell’aver individuato un tema – o uno spunto – che, a differenza di quanto avviene, ad esempio, in Anni zero, l’ultimo numero della rivista mondadoriana Nuovi Argomenti, pone l’accento sulle cause e non sugli effetti della deriva di un popolo: scegliere un tema universale, ma che si lega con delle specificità forti a un preciso contesto geografico e temporale, ha favorito una maggiore libertà da parte degli autori – che così non sono stati costretti a tradire i rispettivi orizzonti artistici – e, contemporaneamente, ha determinato una coerenza alquanto insolita in un’antologia, tanto che sembra che i vari racconti dialoghino tra loro.
I sette “padri” dei sette racconti che compongono questa silloge sono personaggi molto distanti l’uno dall’altro, ma accomunati dall’incapacità di ricoprire il proprio ruolo come dovrebbero, o come vorrebbero; alcuni non ce l’hanno mai fatta veramente a trasformarsi da figli in genitori, altri sono riusciti a essere padri ma solo per un breve periodo, tutti si sentono inadeguati, tutti in qualche modo chiedono di essere perdonati.
Nel primo racconto Neve fra Barberino e Roncobilaccio di Simona Baldanzi, una ragazza, laureata e lavoratrice precaria, torna a casa per parlare ai genitori delle proprie difficoltà. Va a prenderla alla stazione il padre, ex-camionista, operaio, contadino e cacciatore. I due rimangono bloccati in autostrada a causa della neve. Mentre la figlia si tormenta per l’ingiustizia sociale che le impedisce di rendersi economicamente indipendente, il padre, grazie al senso pratico e a uno spontaneo altruismo, presta soccorso agli altri automobilisti, infreddoliti e affamati. Nel finale ci sarà un incontro inaspettato che incrinerà, in qualche modo, le antiche certezze da mondo contadino dell’uomo.
Antinoo di Giordano Tedoldi è sicuramente il brano più potente dell’antologia. L’atmosfera è sospesa tra i romanzi del già citato Ellis, il Ranxerox di Stefano Tamburini e le Relazioni pericolose di Chaderlos de Laclos. I personaggi, dal giovane narratore-”prostituto”, al padre-magnaccia, alla fidanzata Valentina, psicologa-psicolabile, sono memorabili. Il disgusto, che il lettore probabilmente proverà leggendo il pre-finale, non deriva tanto dalla crudezza delle immagini rappresentate (scuoiamenti, sbudellamenti ecc.), quanto dal sottotesto che mostra la violenza che sta dietro ogni presa di potere, in questo caso dietro al naturale, ma non più scontato, avvicendamento tra padri e figli.
Il terzo racconto Pugni di Sabbia di Sergio Nazzaro, narra di un altro ritorno a casa. Qui il figlio si chiama Sergio, come l’autore, e come l’autore ha scritto un libro di autofiction che parla di camorra. Il padre ha paura per l’incolumità di Sergio e per quella della famiglia, ma soprattutto ha paura dell’opinione della gente del paese. Al termine di un alterco col genitore, Sergio riflette sull’origine del male, un male tangibile dal quale si sente attanagliato e che lo porta a ridiscutere il suo rapporto col paese natio e, implicitamente, il suo approccio alla scrittura.
Il padre di niente di Alessandra Amitrano è una piccola saga familiare, che può essere vista come un atto di riconciliazione da parte della narratrice col padre morto, un padre che per tutta la vita è stato violento, immaturo, capriccioso, un padre incapace di dedicarsi totalmente alla figlia anche durante i loro rari incontri: in queste ricorrenze difatti la accompagnava spesso in una casa dove la piccola doveva dividere, suo malgrado, le attenzioni paterne con le figlie di un garagista, amico del genitore. Questo strano rituale rivelerà l’ennesimo lato oscuro del padre di niente.
Animali di Michele Cocchi fino a un certo punto sembra distaccarsi dal tema della paternità. Al centro del racconto c’è una carneficina di animali, preda della follia di un uomo misterioso, la cui identità verrà svelata solo alla fine.
Il padre del sesto racconto, Sangue di Stefano Di Leo, è un vecchio uomo malato, giocatore d’azzardo, che ha sempre tradito la moglie senza alcun senso di colpa, il quale decide di concludere la sua vita come clochard.
L’antologia è conclusa da L’abbandono del cielo natale, bellissimo titolo per una narrazione divisa tra un interno borghese, dove un figlio riceve la chiamata notturna del padre, e la delirante dimensione onirica di cui è schiavo quello stesso padre, ricoverato in clinica e incapace di distinguere tra il sogno e la veglia.
Marco Gigliotti