Il lunedì era giorno di bucato per Diana Price. Ma quel lunedì in specifico non lo fece affatto, perché Steve Trevor l’aveva lasciata.
Si era alzata dal letto alle sei del mattino, lui ancora dormiva. Si era lavata, vestita e si avvicinava ora alla scala che l’avrebbe portata in cucina. Poi una voce attutita dal cuscino l’aveva chiamata.
- Diana.
Nemmeno si era alzato in piedi, il bastardo, nemmeno si era degnato di guardarla. Ancora con gli occhi chiusi e la testa sprofondata nel morbido le aveva detto:
- Io me ne vado.
- Quando torni?
- Io me ne vado per sempre.
Diana era in ritardo sulla tabella di marcia. La colazione era prevista alle sette zero zero e erano già le sette e sette minuti.
- Potresti essere un po’ più specifico? Per sempre quanto?
- Diana, sei scema?
- Sono in ritardo per la colazione.
Diana si girò e prese di nuovo la via delle scale. Dietro di lei, un rumore di lenzuola e di piedi appoggiati alla moquette spiegava chiaramente che Steve si stava alzando. Quando Diana fu alla fine della scala, lui ne era al principio.
- Diana, hai capito quello che ti ho detto? Disse indossando solo un paio di boxer con dei cuoricini stampati in blu.
- Hai detto che te ne vai via per sempre, sì, ho capito. Vuoi del caffè? Rispose lei con i calzari di Hermes che sluccicavano.
- Sì, grazie.
- Perché mi stai lasciando di lunedì?
- Tre cucchiaini di zucchero, grazie.
- Per tre cucchiaini di zucchero?
- Vado a vestirmi.
- Ci vuoi il latte?
- No, ho un po’ di acidità. Vado a vestirmi.
Steve scomparve dietro la porta del guardaroba. Diana proseguì ai fornelli e, mentre riempiva la caffettiera di delicata polvere scura, pensò alla parola acidità. A come le piogge acide rovinino il pianeta, a come la panna acida procuri il vomito, a come si può sciogliere il corpo di un uomo.
Accese la televisione per seguire il telegiornale del mattino.
Steve entrò nella stanza nella sua splendida divisa blu. Le donne non sono belle di mattina.
- Devo andare. Comunque ripasso stasera a prendere un po’ di cose.
- Ok.
- È finito lo zucchero.
- L’ho comprato ieri, non è finito.
- Dove l’hai messo?
- Nella credenza. Sto guardando il tg.
- Vai in lavanderia oggi?
- Sì.
- Puoi portare la mia divisa bianca?
- Sto cercando di seguire.
- Hai portato fuori l’umido?
- Oggi c’è il secco. Domani l’umido. Mi fai sentire cosa dicono?
- Dovresti essere meno rigida.
- Ma perché solo i deficienti vanno alla Casa Bianca?
- Che è successo?
- Guardati il prossimo tg.
- Posso guardare questo con te.
- Non sai nemmeno di cosa parlano.
- Se ascolto, capisco lo stesso.
- Non dovevi uscire?
- Ho ancora quindici minuti.
Steve si mosse verso la credenza. Iniziò a cercare lo zucchero tra gli armadietti. Aprì un cassetto da cui uscì la corona dorata con la stella rossa al centro. La sua donna meraviglia.
Il rumore dei mobili che venivano aperti e chiusi con regolarità era per Diana un lungo e interminabile fastidio. La goccia d’acqua che, nel silenzio notturno, costante cade nel lavandino. Snervante. La donna raggiunse allora Steve, trovò lo zucchero e glielo porse e senza guardarlo andò al tavolo, per sedersi di fronte allo schermo. Dietro di lei, il marito iniziò la sua colazione.
…l’ultima appassionante avventura di Wonder Woman. La signora meraviglia ha combattuto con coraggio contro la nuova cellula di Al Quaeda che stava preparando l’attentato al Guggenheim Museum di New York…
Diana guardava le immagini che scorrevano di fronte a lei con espressione assente.
- Secondo me lavori troppo.
- Non vengo male in tv.
- Dovresti prenderti un po’ di tempo per te. Di riposo.
- Se parli non sento niente.
- Lo dico per te.
- Come dubitarne, disse sarcastica.
Diana fu molto compiaciuta per la risposta ironica e tagliente che era riuscita a dare all’uomo che da dieci minuti non riusciva nemmeno a guardare in faccia. Si rilassò sulla sedia, distese le gambe, lisciò i capelli e si disegnò un sorriso beffardo.
…l’America ha bisogno di eroi. Anzi, di eroine, donne coraggiose che si battono come uomini e difendono i principi di libertà e uguaglianza di tutto il mondo.
Grazie Wonder Woman, ovunque tu sia… La Nasa ha elaborato un nuovo progetto…
- Grazie per la divisa, eh. Io vado.
Steve si alzò dal tavolo, prese la giacca che aveva appoggiato vicino alla sedia e si avviò verso il corridoio che portava all’ingresso.
- È Clare.
- Clare cosa?
- C’è qualcosa tra te e Clare.
- Certo, una scrivania di distanza.
- Anche tra te e Vince c’è una scrivania di distanza, ma lui non te lo scopi.
Steve le diede le spalle, e uscì sbattendo la porta. Diana restò seduta. Aveva la forza di Ercole, la velocità di Mercurio, la saggezza di Minerva e la bellezza di Venere. Ma Steve se n’era andato sbattendo la porta. E Diana continuava a pensare al termine acidità.
Diana entrò da Grannies’ alle undici e mezza precise e mentre aspettava la sua amica Betty ordinò un Cosmopolitan.
Tra l’arrivo di Betty e quello di Sarah, passarono ancora due Bloody Mary, un Daiquiri frozen alla fragola, tre Sex on the Beach e un Manhattan.
Sarah si sentì esclusa. Era arrivata con più di un’ora di ritardo, ma questo non giustificava le sue amiche dall’essersi ubriacate senza aspettarla. Così ordinò un Negroni, e lo bevve in un sorso unico.
Diana cercava di sfogarsi con Carol e Betty, ma l’elaborazione del pensiero le risultava faticosa.
- Steve…
Coro delle amiche: – Steve è un bastardo.
- Steve…
- Un altro Daiquiri?
- Uhm, un Cosmopolitan.
- Cameriere? Quattro Cosmopolitan.
Arrivarono quattro bicchieri a forma di cono rovesciato con una bevanda arancione e un’oliva nel mezzo. E fu chiaro che Steve era un ignobile pezzo di merda, che tutti gli uomini sono dei gran bastardi, che bisognerebbe usarli solo per scopare, che le donne sono superiori. Che senz’ombra di dubbio le donne sono superiori, che il cervello di un uomo è quanto di più vicino alla definizione di vuoto assoluto che gli scienziati – maschi – stanno così duramente cercando.
Tutte d’accordo.
Quando si parla male dei maschi, le donne sono sempre d’accordo. Perché almeno una volta nella vita ognuna di loro è stata lasciata ingiustamente, tradita senza motivo, ingannata, derisa, umiliata, sfruttata e quant’altro.
Ora si trattava di elaborare una strategia che permettesse a Diana di non scoppiare in lacrime appena fosse finito l’effetto dell’alcol.
- Ho comprato le Manolo che avevamo visto in vetrina settimana scorsa, disse Betty.
- A cosa dobbiamo il suicidio della tua carta di credito?
- Si sposa Paul.
- E tu vai al matrimonio?
- Certo, con un vestito di Karl Lagherfield. Favoloso. Scollatura, schiena scoperta. Che crepi, lo stronzo. Guarderanno tutti me.
- Pensiero fisso degli ospiti: come cavolo ha fatto lo sposo a mollare questa topona per la svampita di sua moglie.
- Esatto.
- Steve…
- Dai Diana. Vuoi un altro Cosmopolitan?
- Sì.
- E a te, come va con Stephen? Continuò Sarah rivolgendosi a Carol.
- Mi ha proposto di fare coppia aperta.
- Wow.
- Vuole sentirsi libero di poter andare anche con altre donne. Perché la vita è una sola, perché la felicità non si può raggiungere autolimitandosi di continuo…
- … perché tanto lo sai cara che io amo solo te e anche se vado con altre non è che cambia il sentimento…
- … è solo sesso, lo faccio per noi, perché stiamo diventando monotoni, rischiamo di annoiarci e restare insieme per abitudine…
Diana ascoltava le sue amiche riempirsi di luoghi comuni per provare che gli uomini sono pessimi, dimostrando solo come l’assenza di un compagno le rendesse fragili, forse tristi.
È la fine di una storia ad essere un luogo comune.
Diana si guardava intorno, vide una coppia di donne anziane sedute ad un tavolo defilato, mentre bevevano birra. Il colore marrone della loro pelle si mescolava alla perfezione con il legno del tavolo, e contrastava con l’azzurro delle pareti. A guardarle da lontano sembravano due tronchi d’albero su cielo autunnale. La vecchiaia di solitudine è un lento sbiadimento: le persone divengono più simili ad oggetti inanimati.
Questo pensava Diana, che per Steve aveva rinunciato al vivere in eterno.
Il cameriere arrivò con altri quattro Cosmopolitan.
- Sono ubriaca, sentenziò Betty nella speranza che quest’asserzione fosse di una qualche utilità.
- Ce n’eravamo accorte, replicò Sarah supponente.
- Serve mica essere così acide – si intromise Carol – il suo ex si sposa e lei a trentanove anni è ancora zitella, abbi un po’ di compassione.
- Non è perché Paul si sposa.
- Ah, no?
- Non infierire.
- È per fare compagnia a Diana che si è fatta mollare da Steve. Wonder Woman si è fatta mollare. È grottesco.
- Cosa c’è di grottesco? Sono una donna come le altre, io.
- No. Non lo sei. Io non volo, non sollevo camion, non schivo proiettili, non salvo l’umanità per mestiere. Tu non sei come me.
- Qual è il tuo problema?
- Il mio problema, Diana, è che sono ubriaca e sono triste. E ti sto dicendo che sono contenta che Steve ti abbia mollata. Perché per te è sempre tutto facile. Io sto a casa a piangere per settimane e trovo il letto vuoto la sera e sto male. E tu salvi il mondo, tutti ti amano e non hai tempo di stare lì a piangere.
- Betty, smettila, provò ad intervenire Carol.
- È solo invidiosa, lasciala perdere.
- Anche voi due la pensate come me, solo che non avete il coraggio di dirglielo.
Diana si girò a guardare prima Carol, poi Sarah. Le aveva chiamate per non sentirsi sola, mentre sola, ora, si sentiva più che mai. Le due donne abbassarono lo sguardo. Poi Carol intervenne.
- Betty è ubriaca e non riesce a dire quello che vorrebbe. È solo che ogni tanto tu manchi di solidarietà. Cioè, non capisci cosa passiamo noi, e ci sembra stupido stare lì a raccontarti dell’ultimo uomo che ci ha scaricate quando tu, tutti i giorni, rischi la vita per salvare il mondo.
- Mi dispiace.
- Ma non è colpa tua, le cose stanno così e basta. Non puoi mica smettere di fare la supereroe solo perché così spettegoli meglio con le tue amiche.
Diana non aveva mai pensato di poter essere diversa da com’era. Guardava le tre donne che la circondavano cominciare a chiacchierare d’altro, per eliminare la tensione che quella sincerità fuori luogo aveva creato. Aveva voglia di parlare di Steve, di ricordare il giorno che era precipitato all’isola di Paradiso. Di come si erano conosciuti, cercati, amati. Di come aveva lasciato le Amazzoni per seguirlo nel mondo degli uomini. Di come soffriva ora, nel rendersi conto che tutto quel mondo senza di lui era senza peso.
Guardò fuori dalla vetrata del bar, guardò i passanti. Guardò un’anziana signora che passeggiava nel suo vestito stinto, sopra le calze tinta carne e le sue scarpe da vecchia, marroni, ortopediche, senza tacco e senza forma.
Quanti luoghi dovevano non aver calpestato quei piedi, pensava Diana, quanti altri piedi non dovevano aver incrociato quei piedi. Troppo rinchiusi nell’ansia di un’esistenza tranquilla, dove tranquillità e banalità si confondevano. Come se tutte le parole che finivano in “a” accentata si assomigliassero.
Diana immaginava. Poche canzoni ascoltate alla radio, quella vecchia, poco sport, poca politica. Che da quando Kennedy era morto non si andava più a votare: senza il suo sorriso bonario, lo Stato aveva smesso di avere importanza.
Quante cose smettono di avere importanza senza un sorriso, pensava.
Ciò che contava veramente erano le dosi di zucchero nell’apple pie, il giusto tempo di cottura della carne alla griglia, il bicarbonato che aiutava a togliere le macchie, l’impacco di erbe contro il raffreddore, la dose di lievito nel pane integrale, un tranquillo aperitivo con le amiche.
E tutto questo a Diana mancava. Tranquillità. Banalità.
Si sentì profondamente sola, e pensò che la solitudine era marrone.
Poi disse:
- Altro giro?
- Sì.
- Scusa, ce ne porti altri quattro?
Pensò che al momento l’unica soluzione a quello stato di vera tristezza in cui lentamente annegava, era l’alcol. Ubriacarsi così tanto da non provare nulla.
Poi, solo una leggera sensazione di acidità nel pomeriggio.