Akebe Bako e la macchina da risultato
di Valentina Di Cataldo

Il giorno in cui Akebe Bako arrivò a Pechino, aveva ventidue anni e nessuna idea precisa di cosa lo aspettasse. In piedi nell’atrio della New Technological World Corporation for Athletics, mentre attendeva di essere ricevuto, si augurò che accettare l’invito non fosse stato l’errore più irreparabile della sua carriera.
Da qualche tempo la società aveva acquisito una certa notorietà tra i mass media sportivi grazie a una serie di interviste ben studiate e a una campagna pubblicitaria non aggressiva ma onnipresente che negli ultimi mesi ne aveva sponsorizzato le conquiste rivoluzionarie nel campo delle prestazioni e degli equipaggiamenti tecnici.
Akebe Bako perciò non si era stupito quando, un venerdì pomeriggio di alcune settimane prima, l’Ingegner Nii Chang in persona, amministratore delegato del gruppo, gli aveva telefonato per discutere con lui una proposta. Di fronte alle domande dell’atleta, l’interlocutore era rimasto sul vago, aveva glissato con la gentilezza pacata e formale tipica degli orientali e aveva concluso la conversazione invitandolo in sede a Pechino per un pranzo.
Nel suo loft di Venice Beach, Akebe Bako aveva attaccato più perplesso che mai. Da alcune indiscrezioni, sapeva che anche altri suoi colleghi erano stati contattati dalla compagnia, ma nessuno di loro sembrava avere accettato, perlomeno formalmente.
Per dieci giorni, Akebe Bako aveva temporeggiato, quasi finto di non aver mai ricevuto nessuna telefonata. Poi la curiosità aveva prevalso, la prospettiva di un futuro allettante l’aveva stuzzicato e alla fine aveva deciso di accettare l’invito a pranzo e verificare di persona di cosa si trattasse. Si era imbarcato su un aereo per l’Oriente senza dare spiegazioni nemmeno a Mr. Bargain, il suo preparatore atletico, covando la malcelata illusione che l’occasione potesse finalmente trasformarsi in una svolta decisiva per la sua carriera di centometrista.
Adesso che era arrivato, però, non ne era più così sicuro. Il 2027 stava volgendo al termine, non c’era più molto tempo prima dei prossimi giochi. Fino a Parigi 2024 aveva potuto illudersi che i tanto attesi risultati non fossero arrivati solo per via della sua età troppo giovane, della preparazione ancora acerba, delle sue umili origini africane, ma ormai non era più l’ultimo arrivato. La possibilità che i suoi sogni di gloria si realizzassero davvero cominciava a sfumare all’orizzonte, soprattutto dopo la delusione delle ultime olimpiadi, che gli bruciava ancora fresca nell’orgoglio. Era da oltre dieci anni che il cronometro migliore per i 100 metri piani rimaneva fisso a 9’26’’, da quando il congolese Obutu, a Tokyo 2020, era riuscito a percorrere la pista in soli trentatré balzi, a una velocità media di 43,578 km/h e una di picco di 51,0323 km/h. Una prestazione incredibile, che finalmente aveva strappato il primato a quella di Bolt a Berlino 2009. A Parigi, Akebe Bako aveva corso convinto di riuscire a battere il nuovo record. Se c’era riuscito Obutu, che peraltro era un suo connazionale e aveva una storia simile, non vedeva perché non avrebbe potuto farcela anche lui.
Secondo gli scienziati, la massima espressione delle potenzialità umane per la disciplina sarebbe stata raggiunta proprio per il 2024. Le previsioni matematiche avevano assicurato che in quell’anno il record di Obutu sarebbe stato battuto e i tempi sarebbero scesi fino a 9’21’’. Qualcosa di analogo sarebbe successo anche per altre discipline olimpiche, come la maratona, il salto in lungo e i 100 metri stile libero in vasca lunga. Insomma, i giochi di Parigi rappresentavano l’apice dell’espressione atletica, la riconferma che era ancora possibile per l’umanità battere tutti i precedenti. Chi fosse riuscito a segnare la fatidica cifra, sarebbe stato destinato a gloria imperitura.
Per certe sue ragioni, Akebe Bako era convinto che l’impresa toccasse a lui. Il suo nome sarebbe passato alla storia, associato all’impresa irripetibile che si accingeva a concludere. Lo avrebbero citato subito dopo Carl Lewis, Usain Bolt e Korobe Obutu.
Conscio dell’importanza dell’evento, aveva voluto allenarsi da solo, aumentando il ritmo delle tabelle giornaliere che il preparatore atletico gli aveva fornito. Per quattro anni aveva corso più del dovuto, cronometro elettronico legato al polso per controllare i millesimi di secondo. Ogni giorno si era svegliato all’alba e si era sottoposto a sessioni durissime, determinato a raggiungere l’obiettivo. Aveva seguito una dieta vegana rigorosa per ottenere la massima potenza esplosiva dai propri muscoli, ma senza perdere elasticità, come ormai era dimostrato dagli studi nutrizionali più avanzati. Nei momenti migliori, quando aveva la mente sgombra di preoccupazioni, aveva quasi sfiorato i tempi di Obutu, ma non era mai riuscito a superarli, neanche in prova.
A Parigi aveva corso sperando in una sorta di miracolo terreno, incapace di rassegnarsi al proprio limite. Ai blocchi di partenza aveva avuto il tempo di pensare alla sua vecchia madre e di affidarsi a una potenza superiore. Poi aveva corso la sua gara. 9’28’’. Mentre gli consegnavano l’oro si era sentito beffato dalla sorte. Il record era rimasto invariato e il nome del già famoso Obutu era ancora lì a campeggiare come una bandiera sull’asta della gloria mondiale.
«L’Ingegner Nii Chang è lieto di riceverla nel suo ufficio.»
A parlare era stata la signorina della reception. Akebe Bako la guardò senza capire esattamente il suo inglese arzigogolato. Gli sorrise con cortesia professionale e gli mostrò la strada.
Si ritrovò in una stanza enorme. I pochi mobili che l’arredavano sembravano troppo piccoli per l’ambiente. Le pareti erano di vetro. Al centro, una scrivania di cristallo e ferro nascondeva una sedia ergonomica ad aria compressa. Sulla parete di fondo, alle spalle della scrivania, una gigantografia ritraeva un giovane atleta di colore su una pista. Akebe Bako rabbrividì riconoscendo se stesso nel soggetto. Senza dubbio lo scatto era stato rubato durante uno degli ultimi allenamenti.
«Forse si starà domandando come mai la sua foto stia appesa nel mio ufficio, signor Bako.»
La voce arrivò dal punto dove si trovava la sedia ad aria compressa. Solo allora Akebe Bako si rese conto che era occupata da un uomo piccolo ed elegantissimo. L’ingegner Nii Chang, presumibilmente.
«Prego, si accomodi.»
L’uomo mostrò una seconda sedia di fronte alla sua. Akebe Bako si sedette, per nulla comodo.
«Avremo modo di parlare dopo. Prima però vorrei chiederle una cosa. Quando ci siamo sentiti al telefono mi era sembrato piuttosto scettico sulla nostra Corporation. Cosa le ha fatto cambiare idea?»
Akebe Bako sapeva la risposta, ma in quel momento non fu in grado di formularla con chiarezza. L’ingegner Nii Chang sembrò intuirla ugualmente.
«Signor Bako, stiamo contattando tutti gli atleti che hanno corso le olimpiadi del 2024 a Parigi. Come lei ben sa, i calcoli matematici avevano previsto che in quell’occasione si sarebbe segnato un nuovo record. Forse avrà avuto modo di sentire che la New Technological World Corporation for Athletics sta indagando sulle cause per cui ciò non si è verificato.»
Akebe Bako guardò l’uomo. Aveva i capelli grigi e la pelle sembrava lucida di cera. Gli occhietti vivaci si muovevano con un luccicore sinistro dietro un paio di occhiali senza montatura. Senza sapere perché, si sentì nuovamente a disagio.
«Nessuna delle discipline per cui ci si aspettava un superamento del limite ha risposto come sperato alle previsioni del modello matematico, tantomeno i 100 metri piani. Le prestazioni si sono inspiegabilmente fermate a un livello stabile. Sembra che non siano possibili ulteriori margini di miglioramento.»
Akebe Bako provò a protestare che non c’erano ancora sufficienti prove per sostenere questa tesi. Sarebbero migliorati ancora. Si sarebbero scoperti nuovi metodi per ottenere dal corpo risultati migliori. Oppure poteva sempre saltare fuori qualche nuovo atleta in grado di correre i 100 metri in meno di trentatré balzi.
«Purtroppo questo è altamente improbabile, signor Bako. La tecnologia ha già dato tutto ciò di cui è stata capace. La programmazione degli allenamenti, il monitoraggio dell’impegno anaerobico, il controllo dello sforzo richiesto alla massa muscolare, l’ottimizzazione del dispendio energetico, tutti questi parametri sono arrivati a livelli ineccepibili, ma ciò non è stato sufficiente. Dobbiamo ammettere l’errore del calcolo evolutivo.»
Akebe Bako guardò l’omino aspettando di capire dove volesse andare a parare.
«Vede, signor Bako, la nostra società si è occupata per anni di studiare da vicino il fenomeno. Abbiamo accumulato materiale, redatto statistiche, verificato le ricerche antropometriche. Sembrerebbe proprio che il limite della macchina umana sia stato raggiunto. Finché si continuerà a competere in questo modo, l’umanità non potrà aspettarsi niente di più. Nel giro di cento anni, si assisterà a un naturale declino delle prestazioni.»
Akebe Bako si rese conto troppo tardi della smorfia terrorizzata con cui stava cominciando a guardare il suo interlocutore.
«Mi dispiace. La storia è fatta di cicli. A un periodo di massima prosperità non può che seguire una fase di decadenza. È il corso naturale delle cose. Ed è proprio per contrastare quest’ordine prestabilito ed evitare la catastrofe che la mia azienda si è preparata per tempo.»
Akebe Bako lo guardò senza capire.
«Come le dicevo, abbiamo raccolto moltissimo materiale, come può constatare da questo fascicolo e dalla gigantografia alle mie spalle.»
Improvvisamente l’atleta credette di realizzare le implicazioni dell’affermazione.
«Mi avete spiato?»
«Direi piuttosto che l’abbiamo osservata bene. Col suo consenso, naturalmente.»
«Non mi risulta di aver mai preso accordi con la vostra società.»
«Non direttamente, in effetti. Ma quando ha firmato il contratto con il suo preparatore atletico, il signor Bargain, leggo qui, dico bene?»
L’ingegner Nii Chang aprì il fascicolo in maniera plateale e vi lesse qualcosa come se volesse confermare ulteriormente le proprie convinzioni.
«Aspetti un attimo. Mi sta dicendo che voi e Mr Bargain avevate un accordo segreto?»
L’ingegner Nii Chang estrasse un foglio e andò direttamente a una postilla in calce.
«Signor Bako. Questo è il contratto che lei stesso ha firmato. Qui si dice che lei non nega il permesso alla ricerca scientifico-medica e che è disposto a collaborare qualora enti riconosciuti e qualificati eccetera eccetera eccetera. Come compenso per la prestazione l’ente in questione si impegnerà a versare una somma in denaro eccetera eccetera eccetera. Immagino che i suoi legali le abbiano illustrato il significato di quello che stava per firmare.»
Ad Akebe Bako non restò che constatare quanto aveva fatto. Il suo stupore crebbe ulteriormente quando l’ingegner Chang lo condusse in una stanza attigua e si accinse a illustrargli il seguito. L’ambiente era interamente occupato da un grosso marchingegno. Sulle pareti, tre schermi piatti aspettavano di essere accesi. Akebe Bako non capì subito.
«Vede, signor Bako. Di fronte a un limite, l’umanità si è sempre ingegnata per trovare il modo di superarlo. Il mito del progresso continuo è stato sfatato ormai da tempo. Oggi non si crede più di poter forzare il confine. Ciò non significa che non si cerchino sempre nuovi metodi per aggirarlo. Permetta una domanda.»
«Va bene.»
«Da quanto tempo si allena per affrontare le olimpiadi?»
«Da quando sono bambino.»
«Secondo la sua esperienza, qual è stato l’ostacolo più grande al conseguimento dei suoi obiettivi?»
«Non saprei.»
«Esatto. Non lo sa. E sa perché?»
«No.»
«Perché è sempre stato troppo focalizzato sull’obiettivo. Grazie al cielo siamo stati previdenti. Dentro questa macchina sono registrati i momenti più significativi della sua carriera atletica. Grazie alla visione dei filmati, potrà finalmente prendere coscienza di cosa effettivamente le ha impedito di raggiungere il risultato per il quale si è applicato con tanta disciplina in tutti questi anni. Potrà sembrarle strano, ma l’ostacolo insormontabile contro cui ha lottato ininterrottamente è il suo cervello.»
«Prego?»
«Proprio così, signor Bako. Studi attendibili confermano che il cervello è l’elemento che più di tutti influenza la resa di una prestazione agonistica. È in quest’organo che risiede il vero limite di un atleta, ancor prima che nella sua massima potenza muscolare.»
«Vuole insinuare che il mio cervello sarebbe limitato? Se ne sta facendo una questione di razzismo le giuro che io…»
«Per carità! Al contrario. Il suo cervello, come quello di tutti gli esseri umani, non ha limite. È proprio per questo che abbiamo pensato alla macchina da risultato.»
«La macchina da risultato?»
«Quella che ha di fronte. È un computer molto complesso grazie al quale l’atleta ideale avrà l’opportunità di imparare come oltrepassare il proprio stallo cerebrale. In questo modo potrà finalmente liberarsi delle catene del proprio limite.»
«E come pensate di ottenere risultati migliori? La macchina umana ha raggiunto il suo apice, l’ha detto lei.»
«Escludendo il corpo, ovviamente. Slegati dai parametri tradizionali, e dopo essersi sottoposti a un trattamento della macchina, gli atleti ridurranno al minimo l’affaticamento generale, riuscendo a ottenere una prestazione agonistica pari alla n meno l’attrito dovuto all’accumulo di fatica virtuale durante la vita pregressa. Mi segue?»
Akebe Bako aveva smesso di seguire il ragionamento. L’ingegner Nii Chang concluse: «Vogliamo classificare le peculiarità di diversi atleti e, una volta che avremo immagazzinato abbastanza schede, saremo in grado di farli confrontare su un piano diverso. Nel giro di qualche mese saremo in grado di offrire alle selezioni individui del tutto rinnovati, formati in maniera inedita e vincenti su tutti i fronti. La provi, su. Non ha che da accomodarsi all’interno.»
«Ma questo è doping genetico! È contro il regolamento!»
«Non sia ridicolo, signor Bako. Qui non si tratta di regolamento. Stiamo parlando della più grande rivoluzione tecnologica, etica e universale mai applicata al mondo dello sport! Ben presto tutti gli atleti del pianeta vorranno servirsi del nostro sistema di risultatizzazione e non solo nel mondo delle olimpiadi. Prevediamo un upgrade della macchina anche per quanto riguarda i campi degli sport tradizionali individuali e più in là anche per quelli di squadra. Si rende conto? Questa potrebbe essere la svolta definitiva per la sua carriera di velocista! Che cosa aspetta?»
L’ingegner Nii Chang spinse Akebe Bako sulla poltrona, gli applicò elettrodi e cavi su tutto il corpo, spense le luci e attivò il marchingegno. Gli schermi si accesero e i ricordi cominciarono a scorrere.
Innanzitutto venne proiettato un sogno ricorrente che aveva cominciato a intrufolarsi nelle sue notti dopo lo smacco di Parigi. Akebe Bako correva disperatamente verso la casa di sua madre, quella dove abitava da piccolo con tutti i suoi fratelli. La casa però era lontanissima, al punto da sembrargli irraggiungibile. Man mano che avanzava, si rendeva conto di stare correndo su una pista. Alla fine della corsia, il traguardo si allontanava sempre di più a ogni passo che faceva. Doveva assolutamente raggiungerlo, ma quello si spostava, allungando la distanza tra lui e la casa materna. Si svegliava sempre più spesso in un bagno di sudore, i pugni contratti e le lacrime agli occhi. Era un sogno che lo sconvolgeva ogni volta. Anche se ormai sapeva già come andava a finire, la forza con cui era capace di travolgerlo non si affievolì.
Ci furono alcuni frame delle sue corse reali. Le giornate regolari. I sonni tranquilli. La fiducia nel futuro e nelle proprie capacità. Si osservò mentre mangiava con dedizione un intruglio energetico bilanciato. E ancora allenamenti. Sessioni di sudore e denti stretti. Si vide passare davanti agli occhi la storia d’amore che non aveva mai avuto il tempo di vivere, gli amici a cui aveva rinunciato perché la sua dieta vegana vietava tassativamente la birra e le ore piccole nei pub, veleno per il suo orologio biologico di sonno-veglia.
Poi si rivide bambino, il giorno in cui aveva trovato la rivista sul tavolo della cucina materna. Era il 2012 e lui era un ragazzino come gli altri a Yaoundé. L’articolo era scritto in inglese e parlava di un atleta ideale, probabilmente venuto dall’Africa, che nel 2024 avrebbe superato tutti i suoi predecessori nei 100 metri piani. Al momento gli era sembrato solo strano che si trovasse lì. Sua madre leggeva soltanto vecchie riviste di cucina arrivate dal Marocco, ricette inverosimili da cui elaborava i piatti con cui sfamava la famiglia.
La visione successiva risaliva a qualche mese più tardi. Era il suo primo incontro con Mr. Bargain. La madre aveva allestito il salotto buono per l’occasione e poi aveva mandato a chiamare i suoi figli maschi. L’americano aveva distribuito caramelle e sorrisi e poi aveva scelto lui. Akebe Bako ancora aveva ben chiaro lo sguardo con cui l’aveva studiato, come si trattasse di merce. Mani erano state strette, promesse intrecciate. Poi Mr. Bargain gli aveva procurato un passaporto e se l’era portato in America. Da allora, Akebe Bako, cittadino camerunense naturalizzato statunitense, aveva dedicato tutta la sua vita a quel sogno di gloria. Si era allenato tutti i giorni per diventare l’atleta ideale, quello che nel 2024 avrebbe raggiunto il record mondiale imbattibile per i 100 metri piani.
A un tratto le immagini sullo schermo si fecero confuse, come se arrivassero da troppo lontano. Una nostalgia dolorosa lo costrinse addirittura a piangere. Alla fine di tutto, vide di fronte a sé un piatto di arrosto di antilope fumante. Era una delle ricette modificate di sua madre, quella riservata alle occasioni importanti. Non era realmente antilope, probabilmente si trattava di uno dei polli rinsecchiti che razzolavano tra la spazzatura nella strada dietro casa e a cui sua madre riusciva a torcere il collo nei giorni fortunati, però l’avevano sempre chiamato arrosto di antilope, perché era il piatto delle ricorrenze speciali. Fino a quando aveva vissuto a casa con i fratelli, Akebe Bako l’aveva amato e atteso più dei regali di Natale. Poi se l’era dimenticato dietro i mucchi di carboidrati, integratori di vitamine e sali minerali della sua dieta da sportivo.
Cercò di uscire dalla macchina. L’ingegner Nii Chang lo osservava con piglio da scienziato.
«Mi liberi immediatamente! Non voglio vedere oltre!»
«Non sono io che la tengo, signor Bako. Se questo è ciò che vuole, non ha che da interrompere la visione. Deve solo comunicare l’input al suo cervello.»
Con suo sommo stupore, finalmente il flusso dei ricordi si esaurì e gli schermi si spensero.
«Come si sente?»
«Non saprei.»
«È stato molto doloroso?»
«Abbastanza. Ora va meglio, però.»
Mentre parlava, Akebe Bako constatò incredulo che era la verità. L’ingegner Nii Chang lo condusse di nuovo nel suo ufficio e gli allungò un foglio.
«Lo legga con attenzione, signor Bako. Poi, se è d’accordo, firmi.»
Era un contratto di cessione dei diritti. Akebe Bako valutò l’ipotesi. Cercò di calcolare un eventuale vantaggio per sé e le conseguenze effettive sulla propria reputazione. Infine decise di accettare. L’accordo veniva stipulato tra il signor Akebe Bako e la New Technological World Corporation for Athletics. Il signor Bako si impegnava a sottoporsi al trattamento completo con la macchina da risultato, con la specifica che i materiali estratti dalle sedute sarebbero rimasti negli archivi della suddetta società, senza che il soggetto potesse rivendicare in futuro eccetera eccetera eccetera. In cambio la società si impegnava a offrire al signor Akebe Bako, come compenso, la somma monetaria di eccetera eccetera eccetera, secondo le forme e le scadenze specificate personalmente tra eccetera eccetera eccetera. La società si offriva di informare il soggetto interessato di ogni eventuale miglioramento delle sue prestazioni o vittoria che fosse riuscito a conseguire grazie al metodo proposto. In ultima postilla, il signor Bako si impegnava alla massima riservatezza in merito all’esperienza presso la New Technological World Corporation for Athletics e al contratto stesso. In fede, Pechino, 23 ottobre 2027.
Akebe Bako lesse con calma tutte le clausole del contratto, poi firmò, riconsegnò il plico all’ingegner Nii Chang e attese. Il giovane atleta ideale, promessa mancata dello sport agonistico per i 100 metri piani, sentì per un attimo che finalmente avrebbe oltrepassato un traguardo irraggiungibile.
«Benvenuto nella nostra compagnia, signor Bako. Vedrà che non si pentirà della scelta.»
L’ingegner Nii Chang gli strinse la mano e si scomodò addirittura ad accompagnarlo all’uscita.
«Mi dica un’ultima cosa, signor Bako. Qual è il suo desiderio più grande, dopo quello di battere il record? La New Technological World Corporation for Athletics sarà lieta di soddisfarlo.»
Ancora scosso dagli eventi delle ultime ore, l’atleta non riuscì a scegliere quale fosse il rimpianto più grande che si era lasciato alle spalle durante tutti quegli anni. Battere il record era stato l’unico obiettivo della vita da quando era ancora un bambino. Le sue giornate, le sue esperienze, la sua identità erano state regolate in funzione di ciò. Adesso che aveva improvvisamente escluso quest’ambito, gli rimaneva soltanto una generica emozione. Alla fine si sentì rispondere: «Qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
«Tornare dalla mia famiglia, avere di nuovo dieci anni, mangiare l’arrosto di antilope con i miei fratelli e diventare un meccanico come mio padre.»
«Cercheremo di accontentarla, disse l’ingegner Nii Chang, e si congedò alla maniera orientale.»

Il giorno in cui Akebe Bako arrivò a Pechino, aveva ventidue anni e nessuna idea precisa di cosa lo aspettasse. Il 2027 era agli sgoccioli. In piedi nell’atrio della New Technological World Corporation for Athletics, mentre attendeva che un taxi lo riportasse in aeroporto, si augurò che accettare l’invito non fosse stato l’errore più irreparabile della sua carriera.

Questo articolo è stato pubblicato in numeri, numero 27 e ha le etichette , . Bookmark the link permanente. I commenti ed i trackbacks sono attualmente chiusi.