Jenny si è spappolata la faccia. Veramente non tutta quanta, ma solo il lato destro. Il lato destro della sua faccia color amuchina. Jenny è famosa nel quartiere per sembrare un ectoplasma, le si vedono le vene sotto gli occhi, e sulle mani. I suoi capelli sono delle sottili striscioline, color miele di acacia e non le rinvigoriscono certo il volto. Ora che ci penso bene, credo che le uniche punte cromatiche del suo viso siano proprio le sue vene.
Io non c’ero quando è successo, me lo ha raccontato Marcello che poi l’ha portata mano nella mano davanti la porta di casa. Ero in bagno quando sono entrati, gli ha dato Jenny le chiavi.
La via di casa nostra è solo una piccola apparenza di tranquillità che sbuca sulla statale. Jenny e io prendiamo sempre le biciclette per raggiungere la piscina o la scuola. Le prendiamo anche solo per farci delle grandi passeggiate: dopo tre chilometri circa la statale fa una curva sulla sinistra e si lascia alle spalle Parco Montanari. Non è un granché quel parco, ma spunta qualche ciuffo di erba quando piove e ci sono i giochi di legno per i bambini, con le altalene per i grandi e per i piccoli. La cosa che mi piace di più sono i vecchi binari del tram: mozzati da chissà quali piani regolatori, attraversano i giardini senza nessun senso e si incastrano tra i ciottoli che ne marcano il tragitto. Quando ci cammini sopra sono davvero scomodi, ti rovinano i tacchi o le ruote della bici, eppure non posso fare a meno di passeggiarci. Parco Montanari è spesso pieno di ragazzi stranieri, solo uomini non chiedetemi perché. Ce ne sono di ogni nazionalità: indiani, africani, albanesi. Se ne stanno per la maggior parte del tempo seduti sui tavoli da pic-nic o sui davanzali delle finestre del centro sociale all’interno del Parco. Alcuni di loro bevono birra, altri osservano la gente passeggiare. Ogni tanto lo facciamo anche io e Jenny, beviamo Beck’s e osserviamo la gente. Oggi Jenny è uscita da sola ma non per andare al Parco, doveva passare in biblioteca che è dall’altra parte della città, io sono rimasta a casa per via di Mogwai che vomita da una settimana e ci riempie la lettiera di schifezze.
È uscita a piedi, niente bici; in più Jenny è la classica persona che odia i mezzi pubblici. Quando starà meglio, mi racconterà che l’ha messa sotto una ciclista che mentre pedalava era intenta a salutare una sua amica sull’autobus. Mi racconterà che camminava per fatti suoi sulle strisce pedonali e che non ha fatto neppure in tempo a capire come fosse meglio cadere quando la ciclista l’ha investita. È caduta come cadono i birilli quando la palla da bowling li colpisce per uno strike, talmente quella rotola nella loro direzione. La ciclista è la signora Raversi, abita a qualche isolato dal nostro. Non lo diresti mai che è una che va in giro a mettere sotto la gente e infatti Jenny non l’ha riconosciuta subito, lo farà più tardi in ospedale. Marcello ha detto che anche la signora Raversi non ha visto Jenny passare, che ha attraversato la strada nonostante il semaforo fosse rosso, si ricorda anche della faccia che ha fatto a un certo punto la sua amica dal bus. Si è scusata però, la signora Raversi, soprattutto perché è la terza volta in una settimana che mette sotto qualcuno. Ha detto proprio così.
Jenny si è spappolata la faccia e i medici non sono sembrati molto ottimisti. È caduta schiacciando tutto il lato destro del viso, quello in grado di toccare la strada: orecchio destro, guancia destra con dentro il canino, zigomo destro, cavità oculare esterna destra e parte della tempia, sempre destra. L’impatto è stato talmente forte che alcuni granelli d’asfalto si sono infilati nella pelle, creando dei minuscoli fori scuri, come grossi punti neri mai spremuti. Inoltre la guancia destra si è gonfiata e deformata insieme, come il fermo immagine interminabile del pallone di Mila e Shiro dopo una schiacciata. Jenny però riesce a parlare, ancora non può sorridere o meglio, si sforza di farlo con il lato buono della faccia che le rimane. Sì perché Jenny non piange praticamente mai.
Mi ricordo di una volta in cui cadde dal motorino di Filippo. Ci stavamo sfidando a una gara motociclistica fatta in casa, o meglio, per le vie della provinciale, eravamo in due su due motorini omologati per uno: Aurelio era alla guida del suo e dietro portava me, mentre Filippo aveva Jenny. La difficoltà della gara, oltre a battere la velocità nel percorrere un rettilineo di venti chilometri nel minor tempo possibile, stava nel mantenere l’equilibrio che Jenny e io avevamo garantito solo in partenza: infatti non stringevamo i nostri compagni sulla vita, ma davamo loro le spalle, puntandogli i gomiti sui fianchi e stringendoci alle maniglie dello Scarabeo. Guardavamo la strada sfrecciare sotto le ruote allontanarsi sempre di più, con il vento che ci spingeva i capelli sulle guance e proiettava il resto del corpo lontano da noi. Jenny perse.
Oltre a somigliare a un ectoplasma, Jenny ne incarna anche il peso, ovvero nessun peso per le sue ossa. Ha un corpicino minuscolo che può farsi battere solo da una piuma: dopo sette chilometri volò via, letteralmente parlando. Aurelio e io ce ne accorgemmo solo perché a un tratto la vedemmo sfrecciare di lato: Filippo non aveva percepito nessun tipo di assenza dietro di lui. Quindi inchiodò e noi subito dopo, per poco non finii a terra anche io, mentre Jenny ruzzolava lungo i chilometri di provinciale rimasti dietro di noi. Il suo moto era regolare, non c’erano ostacoli in mezzo alla strada. Quando finalmente si fermò, aveva le ginocchia e i gomiti bruciati, era un impiastro di sangue che solo Cristo in croce, eppure rideva, non la smetteva più: Vi ho battuto tutti! Ho vinto!, era entusiasta. Sosteneva che, essendo tornata al punto di partenza prima in volo e poi rotolando, poteva dichiararsi inimitabile vincitrice assoluta.
I medici le hanno detto che non ha nulla di rotto, ma che per via dell’impatto, la sua pelle ha subìto diversi traumi da flessione permanente in troppi punti e che non è possibile isolarli per ripristinare la fisionomia della sua natura. Si tratterebbe di micro chirurgia extra specializzata e loro purtroppo non sono in grado di lavorarla. Bisognerebbe portarla d’urgenza in un centro adatto, ma anche in quel caso si potrebbe rischiare di arrivare tardi: la pelle è talmente sottile che se non si riuscisse a intervenire al più presto, quella parte di faccia sarebbe persa del tutto. Dunque è persa, del tutto. Jenny ha retto il colpo. Pensavo svenisse e invece no. Mi ha raccontato della ciclista, di come erano andati secondo lei i fatti e poi mi ha detto di portarla da Ellain lineanera. Ha firmato perché la dimettessero e insieme siamo andate da lui prima che chiudesse lo studio; Ellain è il tatuatore più famoso del quartiere, forse perché è in realtà l’unico tatuatore del quartiere.
Jenny gli ha appena chiesto uno sciame di farfalle con le ali rosse, blu e verdi che volano partendo dalla tempia destra fino a scomparire lungo parte del collo, toccando contorno occhio e guancia. Tra una farfalla e l’altra poi ha chiesto di aggiungere molti fiori, con dei petali come lacrime e qualche nota musicale di un inchiostro nero, pieno: solo semiminime e crome. Poi ha chiesto di rateizzare il pagamento, ma Ellain guardandola come si era ridotta, si è commosso: dice che la tatuerà gratis, bisognerà solo aspettare qualche giorno, quando la sua faccia si sarà sgonfiata e le cicatrici avranno preso il posto definitivo sulla pelle. Dice che ci vorranno otto sedute da tre ore ciascuna, meglio andarci piano. Jenny ha sorriso con il lato sinistro del viso, quindi ha annuito: tornerà dopodomani.
Jenny si è spappolata la faccia
di Flavia Montecchi
Questo articolo è stato pubblicato in numeri, numero 24 e ha le etichette Flavia Montecchi. Bookmark the link permanente. I commenti ed i trackbacks sono attualmente chiusi.