Autore: Valentina Brunettin
Casa editrice: Alet
Pagine: 200
I cani vanno avanti, terzo libro della ventinovenne Valentina Brunettin, ha catalizzato l’attenzione degli addetti ai lavori già prima di arrivare in libreria. Tra le cause dell’attesa per l’uscita di questo romanzo ci sono stati il grande entusiasmo manifestato dall’editor Giulia Belloni – curatrice della collana «Gli iconoclasti» di cui I cani vanno avanti è il primo titolo – e le indiscrezioni riguardanti i temi della narrazione, che è stata presentata di volta in volta come: il resoconto degli ultimi giorni di vita della cagnolina Laika; il racconto della violenza sessuale subita da una tredicenne; la storia d’amore tra due scrittori con annessa critica alla società letteraria italiana e alla società italiana in generale.
Il romanzo della Brunettin è un po’ di tutto questo, ma non è di certo un romanzo iconoclasta, come vorrebbe il nome della collana, né un romanzo che fa la Differenza, titolo dell’introduzione di Giulia Belloni.
La vicenda dalla quale si sviluppano le altre è quella di Emma, scrittrice di talento, costretta dal marito Virgilio a scrivere insieme a lui saghe familiari di sicuro successo commerciale. Emma soffre, soffre perché non può seguire la propria vena artistica e soffre perché Virgilio la tradisce. Quando trova la forza per reagire, inizia a raccontare la storia che più le sta a cuore, la storia della cagnolina Laika, inviata nello spazio dall’Unione Sovietica nel 1957. Non sempre, però, quando Emma si mette davanti al computer, fingendo di lavorare alla nuova epopea familiare che Virgilio è ansioso di pubblicare, riesce a scrivere di Laika: le capita, quasi in uno stato di trance, di realizzare due racconti, uno su un’adolescente eccessivamente disinvolta, Eleonora, l’altro su una trentaseienne insicura e sovrappeso, Adele, che vengono entrambe violentate.
Se da un punto di vista strettamente tematico i tre poli narrativi sono legati, essendo incentrati tutti sulla sofferenza, la femminilità e la stortura dei rapporti interpersonali, a livello più profondo non si compenetrano: quello che accade in una storia non riesce a influenzare lo sviluppo dell’altra né ad esserne chiave d’interpretazione.
C’è poi, tra le tre parti – Emma, Laika, i due racconti di violenza sessuale – una difformità di esiti, di efficacia rappresentativa.
Il vero punto debole del romanzo è la parte di Laika: oscillando tra la completa antropomorfizzazione e il tentativo di riprodurre dei meccanismi comportamentali e interpretativi differenti da quelli dell’uomo, la Brunettin crea un ibrido che fatica a coinvolgere il lettore. Volendo fare un paragone con gli anime, Laika e il suo mondo sono parenti più prossimi di Bun Bun (cartone animato degli anni ’80 caratterizzato da tono patetico e didascalismo, di cui è protagonista un cucciolo alla ricerca della madre) che del visionario Wolf’s Rain (in onda qualche anno fa su Mtv e incentrato su un gruppo di lupi che si mimetizzano tra le persone grazie alla capacità di suggestionare il cervello umano).
Scorrevole è invece la parte di Emma. Rispetto alla marea di giovani autori venuti fuori tra il 2009 e la prima metà del 2010, a digiuno – con le dovute eccezioni – di un adeguato apprendistato, la Brunettin dimostra di saper tenere in piedi una storia e restituisce il senso di spaesamento che si prova di fronte al vivere borghese spogliato dei suoi orpelli. In alcuni passaggi, però, eccede nell’aggettivazione e due delle scene chiave non funzionano – quella in cui Emma incrocia l’amante del marito è poco più che un cliché e quella che dovrebbe svelare il significato del titolo è nelle sue conclusioni piuttosto semplicistica.
Non ci sono dubbi che le pagine più riuscite siano quelle dedicate ad Adele e a Eleonora. La crudeltà delle relazioni tra i personaggi di questi racconti disinnesca la trappola dello stereotipo. La franchezza con cui ci viene mostrata l’ipertrofia del loro ego è lo strumento attraverso il quale l’autrice compie quel salto nel vuoto che, secondo Roberto Bolaño, è alla base di ogni scrittura di qualità. La Brunettin si allontana così da quella malintesa interpretazione della verosimiglianza – presente nella parte di Emma – che continua a castrare la produzione di tanti autori del nostro Paese, generando universi narrativi indistinguibili gli uni dagli altri, in cui alla pretesa di realismo viene sacrificato un qualsivoglia sussulto vitale.
Marco Gigliotti